Elezioni provinciali, da Roma sì al riconteggio

Il giudice d’appello - in questo caso il Consiglio di Stato di Roma - sconfessa quello di primo grado, ovvero il Tar di Trieste, e riabilita la discussione e il riconteggio delle schede contestate riguardanti un ricorso elettorale liquidato precedentemente come inammissibile. Ma, nel farlo, consente anche che si dibatta in una volta sola il ricorso del ricorso. Quello cioè presentato dal politico eletto che intende tenersi la poltroncina conquistata dall’assalto del collega trombato: è colui che aspira a quella stessa poltroncina e che, per questo, ha presentato il ricorso originario.
Sembra un corto circuito, eppure non fa una piega, la battaglia in famiglia davanti al pulpito della giustizia amministrativa che si combatte tra Boris Gombac e Stefano Martucci, l’anno scorso candidati entrambi a un posto in Consiglio provinciale sotto il simbolo della Lista Dipiazza.
La civica dell’ex primo cittadino, allora, aveva piazzato due pedine nel parlamentino di Palazzo Galatti: Giorgio Rossi e lo stesso Dipiazza, che poi aveva optato per il seggio conquistato a suon di preferenze in Consiglio comunale lasciando quello provinciale al primo dei non eletti della sua lista. Primo dei non eletti che andava pescato dal collegio uninominale in cui la civica aveva ottenuto le percentuali più alte, esclusi ovviamente quelli in cui figuravano Dipiazza e Rossi.
Era così toccato a Martucci, candidato nel collegio Trieste 3, dove la Lista Dipiazza aveva racimolato l’11,27% dei voti. Escluso, a quel punto, risultava essere per meno di un paio di decimali Boris Gombac, uomo dell’allora sindaco di Trieste uscente a San Dorligo 2, dove la percentuale si era attestata all’11,10%.
Gombac, ritenendo di essere stato vittima di una «omessa attribuzione di cinque voti», annullati in tre diverse sezioni, aveva così fatto ricorso al Tar con l’assistenza dell’l’avvocato Gianfranco Carbone, sostenendo che se soltanto due di quei cinque voti fossero stati riconosciuti validi la percentuale della Lista Dipiazza nel collegio di San Dorligo 2 sarebbe cresciuta fino all’11,29%, più dell’11,27% di Trieste 3 che aveva consentito al collega Martucci di accedere a Palazzo Galatti. Il Tribunale amministrativo di Trieste, come detto, dichiarò tuttavia questo ricorso «inammissibile perché totalmente sfornito di un minimo principio di prova».
Gombac a quel punto si appellò al Consiglio di Stato. Che ora gli dà ragione, corregge la causa in «ammissibile» e dispone il riconteggio, in quanto ricorda che l’esponente della Lista Dipiazza aveva «precisato il numero di voti che non gli sarebbero stati attribuiti, in quali seggi sarebbe avvenuto l’illegittimo annullamento delle schede e quali sarebbero i vizi specifici della decisione di annullamento. Quindi nelle censure non sussitono genericità o astrattezza».
Ma se per il Consiglio di Stato di Roma Gombac ha diritto a vedersi riesaminate le schede che lui ritiene non gli siano state attribuite, lo stesso discorso vale anche per Martucci, che già in primo grado aveva presentato un ricorso «incidentale» con l’avvocato Cosimo D’Alessandro e secondo il quale per analoghi errori tecnici gli sarebbbero stati tolti «almeno 38 voti».
Se solo un pugno di questi fossero rivisti e dichiarati legittimi, ecco che ci sarebbe il controsorpasso. «L’eventuale fondatezza dei vizi sostenuti dal Martucci - scrive in effetti il giudice di secondo grado - potrebbe quindi paralizzare gli effetti della fondatezza delle censure prospettate con l’appello del Gombac, e perciò il controllo delle schede ritenute nulle deve estendersi a tutte le sezioni per le quali vi è stata contestazione da parte dei due candidati».
Da qui l’ordine alla nostra Prefettura di provvedere alla «verificazione» delle schede archiviate. L’ardua sentenza il 3 luglio, sempre nella capitale.
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