È morto Enrico Buschi, l’artista del mare tra Fincantieri e gli acquerelli
Classe 1947, è stato una delle figure chiave dell’industria navale nazionale in qualità di direttore generale di Fincantieri negli anni Novanta

Se ne è andato, dopo una breve malattia, una delle figure chiave dell’industria navale nazionale. Enrico Buschi, classe 1947, dopo gli studi a Genova, trascorrerà tutta la sua vita a Trieste. Da giovane ingegnere navale inizia la sua attività professionale in Italcantieri, poi Fincantieri, fino a raggiungerne i vertici negli anni Novanta come direttore generale.
È sotto la sua sapiente guida che l’industria delle navi da crociera conosce una crescita esponenziale, con fatturati record, che incidono sul Pil dell’Italia intera. La sua indole di uomo buono, gentile, generoso ed estremamente attento alle risorse umane e al lavoro di squadra, gli portano una grande stima da parte di tutti i suoi colleghi, dagli operai dei cantieri, ai progettisti, ai dirigenti: ha un modo di lavorare inclusivo, con una sensibilità non comune rispetto ai risvolti umani ed etici del fare impresa. Anche gli armatori lo adorano per la sua professionalità e sensibilità.
Dal 1984 è figura chiave del PM team di Fincantieri che porterà nuovamente gli armatori di tutti il mondo a venire in Italia per concepire una nuova generazione di navi da crociera. Princess Cruises, Holland America Line, Costa Crociere, Carnival Cruise Line… Tocca a lui imbastire le trattative, convincere quelle società che in Fincantieri troveranno il partner ideale per la loro crescita e il successo economico delle loro imprese.
Non si può non notare un’affinità tra Buschi e il suo primo celebre precursore Nicolò Costanzi, padre dei transatlantici progettati a Trieste tra gli anni Venti e Sessanta e pittore stimato da personaggi della caratura di Romano Boico e Gio Ponti. Buschi, come Costanzi, è un uomo semplice, sapiente ed empatico, che vede nell’arte una maestra di vita.
Forse ancor prima che brillante manager è stato anch’egli un pittore raffinato, che ha lasciato una miriade di dipinti e di bellissimi taccuini di viaggio, sui quali appuntava i bozzetti che gli sarebbero poi serviti a preparare l’opera d’arte finale. Nel 2016 lui, che non ha mai amato i riflettori, si lascia convincere a pubblicare un bel volume, Aquerelli, un diario personale, che testimonia l’indole di un uomo che, oltre al cervello, ascolta ancor prima il suo cuore.

Scrive nel libro: «Qualcuno ha scritto che dipingere è un altro modo di tenere un diario: mi riconosco in questa definizione. Dipingo quasi sempre barche, le barche mi piacciono, le guardo, molte cose della mia vita sono legate al fascino che le barche, le scene colte sui moli, i giochi di luce sull’acqua, le “marine” insomma, sono il mio soggetto preferito. Ho letto che dipingere è un modo di amare: ritengo ci sia del vero perché in fondo si cerca di ritrarre quello che si trova suggestivo e ci dona un’emozione che si vorrebbe fissare, in altre parole che si ama».
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