Ex ferroviere morto di amianto Rfi condannata al risarcimento

Alla vedova della vittima 160 mila euro per danno morale ed esistenziale Riconosciuti anche gli anni di esposizione sulle navi della Marina durante la ferma
sterle trieste tribunale avvocati
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Aveva lavorato per anni alle dipendenze delle Ferrovie dello Stato, in particolare come manutentore delle locomotive a Trieste. Un impiego che all’epoca rendeva il contatto ravvicinato con l’amianto un’abitudine quotidiana. Anni di esposizione alla fibra killer, che non hanno lasciato scampo. Il destino era ormai segnato: la morte per mesotelioma.

È la triste fine di tanti lavoratori dell’area triestina e monfalconese, ma il caso in questione – quello di un ex ferroviere morto a 74 anni, del quale omettiamo le generalità su richiesta dei familiari – era stato particolarmente sfortunato. Prima del lungo periodo di impiego nel settore ferroviario era infatti stato esposto all’amianto, per anni, anche durante il servizio di ferma prolungata come meccanico sulle navi della Marina militare.

Ora, a distanza di più di sette anni dalla morte, che risale al settembre 2013, è arrivato un pur tardivo e postumo riconoscimento della sofferenza patita, grazie alla caparbietà della moglie che ha portato avanti una battaglia giudiziaria culminata nella sentenza pronunciata dal giudice del lavoro Paola Santangelo, del Tribunale di Trieste, che ha condannato in solido Rete Ferroviaria Italiana Spa e Ministero della Difesa a pagare alla vedova 160 mila euro di risarcimento: si tratta del danno morale ed esistenziale per l’ingiusta morte del marito.

Nella sentenza si citano testimonianze che confermano l’esposizione alla fibra killer. Durante la ferma prolungata dal 1954 al 1960 sulle navi della Marina si dovevano asportare e rimontare manualmente rivestimenti in amianto oltre alla dispersione delle fibre che rivestivano i tubi. La vittima aveva lavorato poi alle dipendenze della Ferrovie dello Stato in varie sedi (Trieste, ma anche Milano e Torino) principalmente quale manutentore di locomotive e di materiale rotabile. Anche per quel periodo le testimonianze citate hanno confermato la presenza dell’asbesto e l’esposizione dei lavoratori alle relative fibre. Secondo il giudice dalle fonti probatorie emerge che i datori di lavoro non avevano adottato cautele adeguate e che i dipendenti non erano stati informati della pericolosità del materiale col quale operavano. Nella sentenza si precisa, inoltre, che all’epoca esistevano già disposizioni legislative che riconoscevano la pericolosità dell’amianto.

Rfi si è costituita in giudizio contestando che negli anni in cui aveva lavorato e prestato servizio la vittima ci fosse stata un’esposizione certa all’amianto. Anche il Ministero della Difesa si era opposto alla richiesta di risarcimento: la tesi difensiva era, in particolare, che all’epoca l’utilizzo di amianto sulle navi della Marina non risultava vietato. La causa, con il patrocinio degli avvocati Giancarlo Moro e Lucia Rupolo, è stata resa possibile dall’assistenza offerta dal Patronato Inca Cgil di Monfalcone.—



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