False esportazioni, monfalconese a giudizio

Con Roberto Spadoni della Mars imputate altre sei persone per una maxi frode di oltre 300 milioni

Si chiama Ernesto Rum e ha 56 anni. Fino a due anni fa prestava servizio, come funzionario delle Dogane, all’autoporto di Fernetti. Il giudice Luigi Dainotti di Trieste lo ha rinviato a giudizio perché ritenuto responsabile in concorso di una serie di truffe realizzate attraverso la falsificazione di bollette doganali: una maxifrode da 300 milioni di euro. L’udienza è stata fissata per il prossimo 4 marzo. Assieme a Rum sono stati mandati a processo accogliendo la richiesta del pm Lucia Baldovin, Roberto Spadoni, 52 anni, titolare della Mars Srl, residente a Monrupino, ma domiciliato a Monfalcone, l’imprenditore mantovano Mirio Spaggiari, 61 anni, ritenuto uno dei principali artefici della maxifrode con false esprazioni in Serbia, Ucraina, Bosnia, Isole Marshall, Siria, Giordania e San Marino. E poi ancora il triestino Gabriele Mazzoleni, 44 anni, Vittorio Maggio, 69 anni, di Brivio, Pererfrancesco Bacchi, 48 anni di Suzzara, Marco Musumarra, 58 anni, di Aosta. Invece assolto con rito abbreviato nella medesima udienza per un reato minore Giuseppe Esposito, l’altro funzionario doganale triestino coinvolto nella vicenda. «Si tratta - ha spiegato in aula l’avvocato Guido Fabbretti, difensore di Rum - di un numero inconsistente di bollettini rispetto a quanti sono stati quelli evidenziati dall’accusa».

Il blitz dei militari e dei doganieri era scattato alla sera del 14 ottobre all'autoporto di Fernetti. Ma l’indagine che aveva ruotato attorno alla scoperta di 287 operazioni di false cessioni all'estero di capi di abbigliamento apparentemente destinati in Ucraina, Serbia e Bosnia Erzegovina attraverso le dogane italiane di Fernetti, San Sabba, Padova e quella slovena di Obrezje, era iniziata molti mesi prima. Era emerso che gli unici aspetti concreti di queste operazioni finanziarie erano i documenti di trasporto, ovviamente poi risultati falsi. Realizzati da Rum e dagli altri due, con lo stesso sistema adottato all'epoca da Calisto Tanzi per produrre le famose obbligazioni spazzatura Parmalat. Con uno scanner si creavano falsi perfettamente identici. Così veniva utilizzata documentazione tributaria non veritiera da presentare agli uffici doganali nazionali per ottenere il rilascio dei previsti atti per l'esportazione e poi si creavano false bollette doganali sulle quali venivano apposti timbri contraffatti per giustificare l’uscita delle merce dal territorio comunitario. In alcuni casi poi la merce veniva rivenduta in nero in Italia, in altri la transazione era completamente fasulla. In altri ancora la merce neanche esisteva. Era anche emerso che l’indagine della Tributaria e delle Dogane aveva puntato su tre società assolutamente finte: la «Miva Srl», la «Mir Moda srl» e la «Ms pubblicità srl» che pur non presentando la dichiarazione fiscale avevano effettuato esportazioni - fittizie, secondo la procura - per 152milioni di euro con un’evasione dell’Iva di oltre 30 milioni di euro. Certo è che il sistema illecito individuato si chiudeva con la fatturazione diretta a società costituite nelle isole Marshall, in Siria e in Giordania allo scopo di rendere difficile la reale ricostruzione delle operazioni e l'identificazione dei responsabili della frode. In questo modo le finte esportazioni permettevano alle società di godere dei benefici riconosciuti ai cosiddetti “esportatori abituali” che possono effettuare acquisti sul territorio nazionale senza pagare l’Iva oppure - questo il trucco finale - possono utilizzare il credito a compensazione o chiederne il rimborso.

Corrado Barbacini

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