Falsificano la residenza condannati a 6 mesi
Nel giugno 2016 due cittadini bengalesi, Nur Miya e Foysul Alam, rispettivamente di 41 e 44 anni, entrambi operai, si erano recati al civico 34 di via Duca d’Aosta per richiedere l’iscrizione anagrafica. Nelle pratiche per l’ottenimento della residenza avevano riferito di un contratto d’affitto in essere per un immobile a Marina Julia, in via Tavoloni. Ma ai ripetuti controlli di legge della Polizia locale non si erano mai fatti trovare in casa, la proprietaria dell’immobile aveva smentito la locazione, in seguito sconfessando la firma sui due documenti, e alla fine i due erano stati indagati dalla Procura di Gorizia e poi rinviati a giudizio per falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, articolo 483 del Codice penale. Comune di Monfalcone parte offesa nel procedimento.
Ebbene per quel capo di imputazione martedì il giudice monocratico Concetta Bonasia ha condannato Miya e Alam a 9 mesi di reclusione, ridotti a 6 per il rito abbreviato, nonché al pagamento delle spese processuali e del risarcimento del danno in favore del Comune, quantificato in 2.500 euro (ma ne erano stati richiesti 30 mila in tutto, 15 mila per ciascuno), oltre alle spese legali di costituzione. È l’epilogo di una vicenda che si trascina da tempo.
I due, che all’epoca dei fatti operavano nello stabilimento Fincantieri ed erano in Italia da diversi anni, a fine giugno, nel 2016, avevano chiesto l’iscrizione anagrafica facendo riferimento a un contratto d’affitto di un alloggio in via dei Tavoloni. La Municipale però non li aveva mai trovati sul posto, così si era rivolta alla proprietaria dell’abitazione. Ed era emerso che l’alloggio risultava in ristrutturazione. Di qui l’apertura di un fascicolo, con l’individuazione del Comune quale parte offesa del procedimento e l’iscrizione nel registro degli indagati per le false dichiarazioni, mentre la giunta deliberava la costituzione di parte civile nel giudizio, con l’affidamento della pratica a un legale, Paolo Coppo.
Nel corso del dibattimento i due operai, difesi dagli avvocati Alberto Gavioli e Paolo Bottega di Conegliano, hanno addotto come giustificazione l’incapacità di comprendere l’italiano. Il legale incaricato dall’ente ha però rilevato come si tratti di due persone presenti in Italia da diversi anni prima del fatto, peraltro occupate nella fabbrica di Panzano, dove quindi ricevevano in italiano istruzioni e regole anche a tutela della sicurezza sul posto di lavoro. «In realtà gli indirizzi della formazione sono sempre stati tradotti in lingua bengalese – a margine rileva l’avvocato Gavioli –, e nella vicenda vi sono aspetti che non sono stati chiariti fino in fondo, come il ruolo di mediazione avuto da un connazionale di Miya e Alam. Detto ciò, con l’abbreviato si è compiuta una precisa scelta processuale, in considerazione che un minimo di responsabilità c’era». «La sentenza mi pare corretta e non la discuto – conclude Gavioli –, ma ci siamo difesi molto bene. Rammento che il reato prevede pene fino a due anni e che gli assistiti beneficeranno della sospensione condizionale perché incensurati e della non menzione in casellario». Invece per il sindaco Anna Cisint, «un importante risultato a tutela delle legalità». –
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