Feto morto prima del parto punto nascita inadeguato

Tre consulenti a confronto - due della difesa e uno dell’accusa - e due conclusioni opposte. Il processo che vede imputato il ginecologo goriziano Carmelo Castello per omissione di soccorso è giunto nella sua fase più delicata, cruda e dolorosa per la signora Anna Luisa - presente in aula nel Tribunale di Gorizia - che cresceva in grembo un feto di 34 settimane. Se fosse nato, quel bambino si sarebbe chiamato Jacopo. Ma la sera di venerdì 7 settembre 2012 il cuoricino del feto ha smesso di battere in un punto imprecisato del percorso che separa Gorizia da Padova.
Questo, in sintesi, il caso. La signora Anna Luisa (nel processo assistita dall’avvocato Laura Luzzatto Guerrini) si presenta al punto nascita di Gorizia verso le 19. L’accoglie il dottor Castello. La donna lamenta dolori al ventre che, secondo alcuni consulenti, sono il sintomo del distacco di placenta. A rendere più delicato il caso è che il feto denuncia una malformazione cardiaca. Per questo la signora Anna Luisa è seguita dall’Unità di ostetricia e ginecologia del centro gravidanze a rischio dell’Azienda ospedaliera di Padova. Castello suggerisce alla signora di recarsi con mezzi propri a Padova il più presto possibile. Non chiede l’ausilio di un’ambulanza e qui sta il nocciolo del processo. Quando Anna Luisa giunge a Padova, dopo un viaggio concitato con la vettura guidata dal marito e con a bordo anche la prima figlia di sei anni, i medici riscontrano che il cuore del feto ha smesso di battere.
Perché Castello non è intervenuto altrimenti? Sarà il giudice Comez a valutare eventuali responsabilità del ginecologo, professionista stimato. Sullo sfondo della vicenda processuale si staglia la situazione del punto nascita di Gorizia, che all’epoca dei fatti era già stato depotenziato. Infatti, chiamato a testimoniare in aula l’ex primario Carmine Gigli ha riferito che il punto nascita di Gorizia era di primo livello (il più basso), non era attrezzato per assistere parti di feti al di sotto delle 34 settimane, men che meno parti a rischio come si presentava quello in questione. Giovanni Battista Luciani, docente di cardiochirurgia all’Università di Verona, consulente del pm Valentina Bossi, ha riferito che si doveva procedere subito con il taglio cesareo, chiedere l’immediata assistenza dei centri di neonatologia di Udine o di Trieste per assistere il neonato la cui patologia cardiaca avrebbe consentito ampi margini di sopravvivenza. Ciò perché, ha spiegato Luciani, i sintomi denunciati dalla donna erano quelli del distacco di placenta. Parere opposto quello espresso da Erich Cosmi, consulente della difesa, docente alla Clinica ostetricia dell’Azienda ospedaliera di Padova: «Nell’esame cui la signora è stata sottoposta a Gorizia non risultavano perdite ematiche, il dolore era classificato a tre nella scala da uno a dieci, non c’erano quindi gli elementi per diagnosticare un distacco di placenta. Non essendoci rischi per la signora giusto consigliare il trasferimento a Padova». Sostanzialmente aderente a quello di Cosmi il parere di un altro consulente della difesa, il medico legale Raffaele Barisani.
Ora dovrà essere sentito un altro consulente della difesa e poi, dopo quattro anni di iter giudiziario e la sostituzione di tre giudici, la sentenza.
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