Flex trasferisce produzioni in Romania

Sindacati in allarme. Delocalizzati i “picchi di lavoro” che riguardano le attività più importanti dello stabilimento triestino
Lasorte Trieste 30/03/17 - Via Flavia, Corteo Lavoratori Flex
Lasorte Trieste 30/03/17 - Via Flavia, Corteo Lavoratori Flex

C’è un «rischio delocalizzazione» alla Flex, lo stabilimento che produce apparecchiature elettroniche in zona industriale. Il titolo della nota sindacale, redatta l’altro giorno, è preoccupato, inequivocabile: la multinazionale statunitense trasferisce i cosiddetti “picchi di lavoro” in Romania. Che la situazione sia ritenuta grave, lo si deduce anche dall’unanimità delle sigle firmatarie del comunicato: tutte quelle che hanno visto eleggere propri esponenti nelle ”rsu”, ovvero le categorie metalmeccaniche di Cgil-Cisl-Uil, ma anche Usb.

Insomma, pare di capire che sia il momento di stringersi a coorte. Perchè il problema di fondo denunciato dai sindacati è che, aldilà della specifica operazione annunciata il 15 febbraio scorso dall’azienda in occasione di un incontro con le “rsu”, il trasferimento di attività nello stabilimento romeno di Timisoara potrebbe diventare una deplorevole abitudine.

Visto quanto sta succedendo alla Eaton e alla Embraco, dove le multinazionali hanno staccato la spina causando centinaia di disoccupati, Fiom-Fim-Uilm e Usb alzano il livello di guardia, facendo chiaramente riferimento a un «forte allarme in quanto riteniamo che questa mossa possa rappresentare l’inizio di un maggior trasferimento di attività verso la Romania».

Secondo il testo della nota, Flex avrebbe annunciato ai sindacati la necessità di trasferire a Timisoara i “picchi di lavoro” correlati ai “200 giga”: si tratta di una delle principali lavorazioni svolte a Trieste, da cui dipende una rilevante porzione del fatturato. Il sito produttivo triestino è caratterizzato da una forte incidenza di lavoratori “somministrati”, termine che mimetizza la condizione di precariato: se 400 sono i dipendenti assunti, ben 250 sono quelli che operano con contratti di interinalato.

Evidente che per i sindacati, da anni impegnati a ottenere la più ampia stabilizzazione possibile dei “somministrati” in Flex, portare lavoro in Romania significa che la multinazionale non mostra alcuna volontà di risolvere una questione sociale molto sentita. Anzi - riflettono i sindacati - se oggi trasferisce attività che fortunatamente eccedono la produzione ordinaria, domani finirà col traslocare ulteriori porzioni di lavoro. E ricordano come alcuni mesi fa Flex abbia lasciato a casa 65 interinali.

La nota quadripartita spiega il contesto da cui nascono le ragioni di pessimismo e di preoccupazione sul futuro della fabbrica triestina: «Siamo a due anni e mezzo dal subentro di Flex ad Alcatel (primavera-estate 2015, ndr) ma finora abbiamo visto ben poco dell’annunciato piano industriale del giugno 2015, che parlava di un centro di eccellenza dell’ottica e di diversificazione del sito». «Oggi - prosegue la disamina sindacale - oltre a una minima parte di volumi per Enel, di clienti nuovi non se ne sono visti. Mentre diverse attività hanno già lasciato la fabbrica nei mesi scorsi verso Romania e Messico».

Ma adesso la situazione - insistono i sindacati - rischia di precipitare. Al punto che il comunicato annuncia il coinvolgimento dei “garanti istituzionali” dell’accordo sottoscritto nel giugno 2015, «accordo che oggi viene fortemente messo in discussione dall’azienda».

In realtà il passaggio della fabbrica triestina da Alcatel Lucent a Flextronics non ha mai convinto le organizzazioni sindacali. Il parco-clienti non è cresciuto, la multinazionale ha sostanzialmente ignorato le proposte della Regione sulle opportunità di supporto pubblico ai progetti di ricerca&sviluppo. Flex ha replicato ricordando i 7,5 milioni investiti sullo stabilimento in zona industriale.

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