Foche monache avvistate in Istria

Oltre all’esemplare di Cherso ce ne sarebbe un’altra dozzina. Studi per capire se sono autoctone
Di Andrea Marsanich

FIUME. Non è sola la foca monaca vista, fotografata e filmata in questi anni sulla costa occidentale dell’isola di Cherso e a Capo Promontore, nel profondo sud dell’Istria. Vive in queste acque dell’Adriatico settentrionale assieme ad altri tre esemplari, mentre più giù, nella Dalmazia meridionale, è presente una seconda colonia, composta da un numero imprecisato di questi mammiferi marini. E’ quanto affermano i componenti del Gruppo della Foca monaca, team di esperti guidato ormai da vent’ anni dalla biologa croata Jasna Antolovic, origini dalmate (Comisa, isola di Lissa) e innamorata perdutamente della foca monaca, il mammifero marino più a rischio nel Mediterraneo.

Il suddetto gruppo collabora da tempo con l’ associazione Foca Monaca di Roma, con colleghi di Turchia, Grecia e Albania, con le competenti autorità croate, la facoltà zagabrese di Veterinaria e l’Autorità portuale di Cherso. Una cooperazione che ha dato risultati significativi e la (quasi) certezza che le coste croate dell’Adriatico siano diventate la fissa dimora di esemplari che non provengono insomma da Turchia e Grecia. Per esserne sicuri al 100 per cento, i biologi croati hanno inviato ad un prestigioso laboratorio americano peli ed escrementi dell’ animale raccolti nella grotta situata a Capo Promontore. Inoltre sono stati spediti negli Stati Uniti parti degli esemplari di foca monaca sistemati nei musei di Fiume, Spalato, Ragusa (Dubrovnik) e Zagabria. L’analisi del Dna permetterà di appurare se le due colonie adriatiche sono autoctone oppure appartengono ai gruppi registrati in Grecia e Turchia. I risultati arriveranno in autunno e se daranno responsi positivi, cambierà lo status delle foche monache nel cosiddetto Libro rosso della Croazia, che annovera le specie a rischio o estinte nel Paese.

Il nostro mammifero viene considerato specie estinta in Croazia e se invece si appurerà che non è imparentato con gli animali presenti nei due citati Paesi mediterranei, avrà lo status di specie a rischio, che è comunque un gran bel passo avanti. L’associazione della dottoressa Antolovic ha effettuato analisi anche nel proprio laboratorio (meno attrezzato di quello negli Usa) ed ha accertato che nei peli della foca altoadriatica non c’ è traccia di metalli pesanti. Un ottimo segno, un pò offuscato dalla scoperta di un parassita, la Fasciola hepatica, il che rivela che questo intruso si annida in pesci e molluschi mangiati dalla foca. Va ricordato che questa specie è in regime di tutela nell’ Adriatico sin dal 1935, ma nei decenni successivi pochi si attennero alla legge, non rispettata soprattutto dai pescatori croati che uccidevano le foche perché colpevoli – sostenevano – di lacerare le reti per mangiare il pesce. Nel 1964, così le cronache, sarebbe stato ucciso l’ ultimo essemplare nelle acque dalmate e da allora la foca monaca è considerata specie estinta. Nel contesto va rilevato che l’uccisione di questo animale comporta una pena pecuniaria in Croazia di 100 mila kune, pari a 13 mila e 400 euro.

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