Più di 13 mila profughi arrivati nel 2024 a Trieste: «Aumenta l’invisibilità, sistema inadatto»
La denuncia delle organizzazioni umanitarie nella Giornata del rifugiato. Su Campo Sacro: «I lavori non sono stati fatti»

Non sono numeri, sono persone, ma i dati diffusi per la Giornata del Rifugiato dalle organizzazioni attive sul territorio – Ics, Diaconia valdese, Irc, Linea d’Ombra e No Name Kitchen – aiutano almeno a raccontare una parte delle storie di chi cammina fino a Trieste.
Nel 2024 le associazioni hanno incontrato 13.419 migranti (il 42% in arrivo dall’Afghanistan, seguono Siria, Pakistan e Bangladesh), il 16,4% in meno del 2023: una diminuzione, contenuta, che per chi si occupa di accoglienza non sarebbe però dovuta al calo di transiti fotografato da Frontex, né ai controlli in area Schengen, bensì da una crescente invisibilità delle persone.
«I migranti continuano a transitare, ma con modalità più rischiose e meno tracciabili, frutto dell’irrigidimento dei controlli di frontiera e della militarizzazione della rotta», osserva Marta Pacor di Diaconia Valdese.
Tra l’1 gennaio e il 31 maggio 2025, rileva Sher Khan Khocai di Irc, gli arrivi registrati sono già 2.971: per un terzo sono minori non accompagnati, donne sole e famiglie, soprattutto dal Kurdistan Turco. «Crescono i bisogni di accoglienza stabile, in particolare tra le categorie più vulnerabili», annota Pacor: se nel 2024 solo il 4% dei nuclei famigliari esprimeva l’intenzione di restare a Trieste, nel 2025 parliamo del 20%. I dati peraltro non tengono conto delle persone incontrate durante il monitoraggio notturno portato avanti da Anna Palchetti e gli altri volontari di No Name Kitchen.
Nonostante una maggiore continuità nei trasferimenti prefettizi (fino ad aprile bisettimanali, a maggio settimanali), la situazione resta «critica». «Il Cas di Campo Sacro resta sottoutilizzato, a causa della mancanza di adeguamenti promessi da oltre un anno», denuncia Maddalena Avon di Ics. Sulle destinazioni (per il 70% si tratta della Sardegna) c’è anche un problema informativo: «Le persone – annota Avon – a volte vengono messe sui pullman senza che venga detto loro dove verranno trasferite: inoltre, spesso parliamo di strutture isolate e prive di servizi basilari».
Resta poi il nodo dei tempi di accesso alla procedura d’asilo. Lo scorso maggio, rileva il presidente di Ics Gianfranco Schiavone, «la media di attesa per manifestare la volontà di richiedere protezione internazionale ha superato i 20 giorni, con punte oltre i 30». Nell’attesa, le persone rimangono escluse da ogni servizio. «Se non le notiamo come in passato – valuta Schiavone – è perché le persone in attesa di formalizzare la domanda di asilo sono distribuite in Porto Vecchio, e non più concentrate nel Silos, ma la situazione resta grave».
«Intollerabile che Trieste continui a voltarsi dall’altra parte», dice Lorena Fornasir di Linea d’Ombra, testimoniando le storie dei 2.200 e più migranti assistiti solo quest’anno: un attività enorme, che richiede all’organizzazione spese di circa 60 mila euro al mese pur di offrire loro cibo e abiti. «Ma dietro ai numeri – rammenta Fornasir – ci sono persone, ferite, vite abbandonate: il vero trauma ce lo portiamo noi addosso, poiché non vogliamo vedere tutto questo».
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