Giro dramma, muore il belga Weylandt
dall’inviato Antonio Frigo
RAPALLO
Una curva breve, ma più lunga della sua vita. E Wouter Weylandt, 27 anni, belga, è morto dopo essere caduto nella discesa del Passo del Bocco, sbattendo la testa contro il guard rail. Sono le 16.20 di un bel giorno di sole. Laggiù, a 25 chilometri, ci sono il mare e l’arrivo di tappa a Rapallo, nonchè la fine della fatica della terza tappa, partita tra la folla da Reggio Emilia.
Una curva breve, con una brutta pendenza - c’eravamo appena passati anche noi e avevamo commentato: per fortuna non devono farla in senso inverso - e la strada stretta. Una curva come tante altre della discesa del Bocco: curve su cui sono già atterrati, senza danni, altri del gruppo prima di lui. Quando però lei, la curva assassina, si apre su un breve rettilineo, Weylandt ha già perso il controllo della bici: finisce di faccia sul guard-rail a destra, stramazza a terra senza dar cenno di vita. Subito dietro, per un caso fortuito, c’è l’auto medica con il professor Giovanni Tredici, il veterano medico del Giro d’Italia. Balza giù, capisce subito il dramma e s’affanna con il suo staff: «Aveva una frattura importante al frontale con perdita anche di sostanza cerebrale - spiega -. Io sono intervenuto al massimo trenta secondi dopo la caduta, ero proprio dietro di lui. La rianimazione è durata 45 minuti, come da protocollo del 118. Ma si è visto subito che non c’erano speranze e lo stesso 118 ha constatato l’inutilità delle manovre di rianimazione, che comunque sono state condotte adeguatamente anche con esperti del settore. In 29 anni che seguo il Giro non ho mai visto un incidente così grave, mai visto uno morire sulla strada così».
Una forbice gli taglia il laccio del caschetto, ma non è di aria che ha bisogno. Nemmeno lo caricano sull’ambulanza, parte la rianimazione.
Arrivano le ambulanze, ma la battaglia è già perduta. In tivù, il vicedirettore di Raisport, Auro Bulbarelli, lancia un appello: «Mandate un mezzo dell’elisoccorso sul posto», la montagna non dà campo ai telefoni cellulari. La zona è impervia. Nessuno ha il coraggio di dirlo, ma il cuore di Wouter è già fermo da tempo. I suoi genitori, in Belgio, vengono rintracciati e avvertiti. La moglie no: non è in casa e non deve saperlo dalla televisione, perchè è in stato interessante, diventerà madre a settembre, ma quel figlio non avrà il suo papà. Solo quando anche a lei è stata detta la verità, il professor Giovanni Tredici va in onda tivù e dice a chi ha già capito: non c’è più niente da fare, il corridore è morto.
Intanto la corsa, che è sfilata accanto a quel ragazzo morente, continua nel silenzio del pubblico che, diversamente dai corridori, ha saputo tutto, ha visto la faccia di quel povero ragazzo. La gara continua e ti vien voglia di chiedere che qualcuno intervenga. C’è chi si sta battendo per la vittoria di tappa, c’è addirittura una fuga in atto, si lotta per il traguardo, per la maglia rosa. Ma in un silenzio tremendo: spenta la musica, spenti i microfoni. Mentre Weylandt, che non doveva nemmeno essere qui (ha sostituito quasi all’ultimo istante l’italiano Bennati) e corre per la Leopard, ha già perso la sua grande battaglia per la vita. Nel suo blog su Twitter aveva scritto «Le mie gambe e i miei polmoni sono pronti per i 3500 chilometri». Quelli del Giro. Ne ha pedalati appena 532. Mentre il direttore di corsa Mauro Vegni accompagna il feretro di Weylandt alla camera ardente, le agenzie diffondono la foto della sua ultima vittoria. Anche al Giro dello scorso anno aveva vinto, proprio la terza tappa. In serata arrivano il padre e la vedova Sophie, accolti alla Malpensa dallo staff Rcs. Nella tappa di oggi, i ciclisti potrebbero rendergli omaggio non dandosi battaglia. Come quella volta di Casartelli.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
dall’inviato Antonio Frigo
RAPALLO
Una curva breve, ma più lunga della sua vita. E Wouter Weylandt, 27 anni, belga, è morto dopo essere caduto nella discesa del Passo del Bocco, sbattendo la testa contro il guard rail. Sono le 16.20 di un bel giorno di sole. Laggiù, a 25 chilometri, ci sono il mare e l’arrivo di tappa a Rapallo, nonchè la fine della fatica della terza tappa, partita tra la folla da Reggio Emilia.
Una curva breve, con una brutta pendenza - c’eravamo appena passati anche noi e avevamo commentato: per fortuna non devono farla in senso inverso - e la strada stretta. Una curva come tante altre della discesa del Bocco: curve su cui sono già atterrati, senza danni, altri del gruppo prima di lui. Quando però lei, la curva assassina, si apre su un breve rettilineo, Weylandt ha già perso il controllo della bici: finisce di faccia sul guard-rail a destra, stramazza a terra senza dar cenno di vita. Subito dietro, per un caso fortuito, c’è l’auto medica con il professor Giovanni Tredici, il veterano medico del Giro d’Italia. Balza giù, capisce subito il dramma e s’affanna con il suo staff: «Aveva una frattura importante al frontale con perdita anche di sostanza cerebrale - spiega -. Io sono intervenuto al massimo trenta secondi dopo la caduta, ero proprio dietro di lui. La rianimazione è durata 45 minuti, come da protocollo del 118. Ma si è visto subito che non c’erano speranze e lo stesso 118 ha constatato l’inutilità delle manovre di rianimazione, che comunque sono state condotte adeguatamente anche con esperti del settore. In 29 anni che seguo il Giro non ho mai visto un incidente così grave, mai visto uno morire sulla strada così».
Una forbice gli taglia il laccio del caschetto, ma non è di aria che ha bisogno. Nemmeno lo caricano sull’ambulanza, parte la rianimazione.
Arrivano le ambulanze, ma la battaglia è già perduta. In tivù, il vicedirettore di Raisport, Auro Bulbarelli, lancia un appello: «Mandate un mezzo dell’elisoccorso sul posto», la montagna non dà campo ai telefoni cellulari. La zona è impervia. Nessuno ha il coraggio di dirlo, ma il cuore di Wouter è già fermo da tempo. I suoi genitori, in Belgio, vengono rintracciati e avvertiti. La moglie no: non è in casa e non deve saperlo dalla televisione, perchè è in stato interessante, diventerà madre a settembre, ma quel figlio non avrà il suo papà. Solo quando anche a lei è stata detta la verità, il professor Giovanni Tredici va in onda tivù e dice a chi ha già capito: non c’è più niente da fare, il corridore è morto.
Intanto la corsa, che è sfilata accanto a quel ragazzo morente, continua nel silenzio del pubblico che, diversamente dai corridori, ha saputo tutto, ha visto la faccia di quel povero ragazzo. La gara continua e ti vien voglia di chiedere che qualcuno intervenga. C’è chi si sta battendo per la vittoria di tappa, c’è addirittura una fuga in atto, si lotta per il traguardo, per la maglia rosa. Ma in un silenzio tremendo: spenta la musica, spenti i microfoni. Mentre Weylandt, che non doveva nemmeno essere qui (ha sostituito quasi all’ultimo istante l’italiano Bennati) e corre per la Leopard, ha già perso la sua grande battaglia per la vita. Nel suo blog su Twitter aveva scritto «Le mie gambe e i miei polmoni sono pronti per i 3500 chilometri». Quelli del Giro. Ne ha pedalati appena 532. Mentre il direttore di corsa Mauro Vegni accompagna il feretro di Weylandt alla camera ardente, le agenzie diffondono la foto della sua ultima vittoria. Anche al Giro dello scorso anno aveva vinto, proprio la terza tappa. In serata arrivano il padre e la vedova Sophie, accolti alla Malpensa dallo staff Rcs. Nella tappa di oggi, i ciclisti potrebbero rendergli omaggio non dandosi battaglia. Come quella volta di Casartelli.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
dall’inviato Antonio Frigo
RAPALLO
Una curva breve, ma più lunga della sua vita. E Wouter Weylandt, 27 anni, belga, è morto dopo essere caduto nella discesa del Passo del Bocco, sbattendo la testa contro il guard rail. Sono le 16.20 di un bel giorno di sole. Laggiù, a 25 chilometri, ci sono il mare e l’arrivo di tappa a Rapallo, nonchè la fine della fatica della terza tappa, partita tra la folla da Reggio Emilia.
Una curva breve, con una brutta pendenza - c’eravamo appena passati anche noi e avevamo commentato: per fortuna non devono farla in senso inverso - e la strada stretta. Una curva come tante altre della discesa del Bocco: curve su cui sono già atterrati, senza danni, altri del gruppo prima di lui. Quando però lei, la curva assassina, si apre su un breve rettilineo, Weylandt ha già perso il controllo della bici: finisce di faccia sul guard-rail a destra, stramazza a terra senza dar cenno di vita. Subito dietro, per un caso fortuito, c’è l’auto medica con il professor Giovanni Tredici, il veterano medico del Giro d’Italia. Balza giù, capisce subito il dramma e s’affanna con il suo staff: «Aveva una frattura importante al frontale con perdita anche di sostanza cerebrale - spiega -. Io sono intervenuto al massimo trenta secondi dopo la caduta, ero proprio dietro di lui. La rianimazione è durata 45 minuti, come da protocollo del 118. Ma si è visto subito che non c’erano speranze e lo stesso 118 ha constatato l’inutilità delle manovre di rianimazione, che comunque sono state condotte adeguatamente anche con esperti del settore. In 29 anni che seguo il Giro non ho mai visto un incidente così grave, mai visto uno morire sulla strada così».
Una forbice gli taglia il laccio del caschetto, ma non è di aria che ha bisogno. Nemmeno lo caricano sull’ambulanza, parte la rianimazione.
Arrivano le ambulanze, ma la battaglia è già perduta. In tivù, il vicedirettore di Raisport, Auro Bulbarelli, lancia un appello: «Mandate un mezzo dell’elisoccorso sul posto», la montagna non dà campo ai telefoni cellulari. La zona è impervia. Nessuno ha il coraggio di dirlo, ma il cuore di Wouter è già fermo da tempo. I suoi genitori, in Belgio, vengono rintracciati e avvertiti. La moglie no: non è in casa e non deve saperlo dalla televisione, perchè è in stato interessante, diventerà madre a settembre, ma quel figlio non avrà il suo papà. Solo quando anche a lei è stata detta la verità, il professor Giovanni Tredici va in onda tivù e dice a chi ha già capito: non c’è più niente da fare, il corridore è morto.
Intanto la corsa, che è sfilata accanto a quel ragazzo morente, continua nel silenzio del pubblico che, diversamente dai corridori, ha saputo tutto, ha visto la faccia di quel povero ragazzo. La gara continua e ti vien voglia di chiedere che qualcuno intervenga. C’è chi si sta battendo per la vittoria di tappa, c’è addirittura una fuga in atto, si lotta per il traguardo, per la maglia rosa. Ma in un silenzio tremendo: spenta la musica, spenti i microfoni. Mentre Weylandt, che non doveva nemmeno essere qui (ha sostituito quasi all’ultimo istante l’italiano Bennati) e corre per la Leopard, ha già perso la sua grande battaglia per la vita. Nel suo blog su Twitter aveva scritto «Le mie gambe e i miei polmoni sono pronti per i 3500 chilometri». Quelli del Giro. Ne ha pedalati appena 532. Mentre il direttore di corsa Mauro Vegni accompagna il feretro di Weylandt alla camera ardente, le agenzie diffondono la foto della sua ultima vittoria. Anche al Giro dello scorso anno aveva vinto, proprio la terza tappa. In serata arrivano il padre e la vedova Sophie, accolti alla Malpensa dallo staff Rcs. Nella tappa di oggi, i ciclisti potrebbero rendergli omaggio non dandosi battaglia. Come quella volta di Casartelli.
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