Giulio Pranno: «Per convincere Salvatores ho cantato il provino»

Elisa Grando
«Quando un attore inizia, la prima cosa in assoluto è la fortuna», dice Giulio Pranno. Ma la fortuna non basta senza il talento, e il suo l’ha notato subito Gabriele Salvatores che l’ha voluto per il suo film “Tutto il mio folle amore” nel ruolo di Vincent, un ragazzo autistico che conosce per la prima volta il padre e parte con lui per un viaggio fra Trieste e i Balcani. Giulio recita con tre grandi attori come Claudio Santamaria, Valeria Golino e Diego Abatantuono, ma la sua interpretazione è indimenticabile, attraversa il film come una fiammata: un debutto folgorante. A ventidue anni, Pranno è uno degli attori più promettenti del nostro cinema. Non a caso il festival ShorTS lo celebra con il Premio Prospettiva dedicato ai giovani talenti che, con lungimiranza, è stato già assegnato negli anni degli esordi ad Alba Rohrwacher, Luca Marinelli, Michele Riondino. «Sono contentissimo, ancora di più perché questo premio arriva da Trieste, della quale mi sono innamorato», commenta Pranno, che si racconterà al pubblico nella masterclass del 7 luglio, alle 18. Il suo immediato futuro è pieno di nuovi progetti che ancora non può svelare, ma di certo lo vedremo nel film “Security” di Peter Chelsom, «in un personaggio molto nero. È la storia dell’indagine su una ragazza che ha subito delle violenze: io sono uno dei sette possibili colpevoli insieme a meravigliosi interpreti come Marco D’Amore, Fabrizio Bentivoglio, Maya Sansa».
Giulio, come ha iniziato a recitare?
«A dodici anni, a scuola, ho interpretato Puck in “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare. Lì ho capito che avrei voluto fare l’attore. Dopo tre anni di teatro amatoriale ho frequentato la scuola di Teatro Azione. Poi ho provato a entrare al Centro Sperimentale, non mi hanno preso, ma il casting director del film di Salvatores ha deciso di cercare il protagonista di “Tutto il mio folle amore” proprio fra gli scartati. E così sono uscito dal mucchio».
Cos’ha fatto di speciale nel provino per convincere Salvatores?
«L’insegnante con la quale mi sono preparato mi ha consigliato di provare a “cantare” il provino, invece che fare un monologo: come veicolo emotivo, il canto aiuta molto i ragazzi autistici ad esprimersi. Avevo anche trascorso alcune giornate in una comunità di ragazzi autistici, cercando di rubare con gli occhi, come faccio sempre quando mi preparo per un personaggio».
La storia di Vincent è ispirata al libro “Se ti abbraccio non aver paura” di Fulvio Ervas, a sua volta basato sulla storia vera di Andrea Antonello e del padre Franco. Quanto è stato importante conoscerli?
«Moltissimo. Si è creato un rapporto con tutta la famiglia. All’inizio ho cercato di imitare alcuni aspetti di Andrea ma poi ho capito che era meglio improvvisare sulla base di quello che mi trasmetteva, di comportarmi come penso sarei stato io se fossi un ragazzo autistico. Nel film mi piaceva la forza di Vincent: è una calamita di eventi, attenzioni, sguardi perché emana molta energia, proprio come Andrea».
Com’è stato lavorare con Salvatores?
«Gabriele è un regista eccezionale che lascia molta libertà agli attori: è più lui che si fa suggerire, piuttosto di quanto suggerisca. Vuole vedere cosa viene dall’attore, poi dà le sue indicazioni».
La scena più difficile?
«Quando torna il papà di Vincent. Dovevo avere una reazione molto forte: avrò fatto al massimo due ciak perché ho cominciato a piangere. Stavo dietro un muro in lacrime, non riuscivo più a smettere. Gabriele è arrivato lì, mi ha abbracciato e mi ha detto che andava bene. In quella scena ho sentito qualcosa che si è rotto e si è liberato, ha toccato delle corde mie personali».
Che tipo di attore le piacerebbe essere?
«Vorrei non dover mai fare delle scelte professionali solo per motivi economici o di fama. Ho avuto la fortuna che mi abbiano offerto sempre personaggi molto particolari: non mi piacciono i ruoli da ragazzo qualunque che vengono di solito proposti a chi ha la mia età. Le soddisfazioni più grandi vengono da personaggi molto diversi da me».
Qual è il suo attore di riferimento?
«Stravedo per Elio Germano, che tra l’altro viene anche lui da Teatro Azione. Fra gli americani la mia icona è sempre stato Clint Eastwood in tutti i film di Sergio Leone, ma anche gli attori che lavorano con Paul Thomas Anderson, uno dei registi che sa valorizzare meglio i suoi interpreti, come Daniel Day Lewis, Philip Seymour Hoffman, Joaquin Phoenix». —
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