Gli alberi a Villa Suligoj In via Montesanto c’è un’atmosfera zen

Un’architettura particolare che un tempo ospitava altre costruzione poi demolite 
Diego Kuzmin

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Villa Brunetti faceva parte della sequenza di ville con parco costruite nell’Ottocento lungo via Montesanto e si trovava al numero 8 dell’allora via di Salcano, proprio di fronte alla Forestale, dietro la quale Giacomo Ceconi, famoso impresario di trafori ferroviari, aveva costruito nel 1887 il suo palazzo goriziano poi mutato in Convento. Una localizzazione non casuale, perché la villa al civico 8 dall’altra parte della strada era di proprietà di Rosa de Ceconi di Montececon, sposata con l’ingegnere Lodovico Brunetti e nata dalla prima moglie ungherese dell’impresario, che ne rimase vedovo al quarto anno di matrimonio.

Sopravvissuta al conflitto, adibita a caserma della Finanza negli anni ’30, la villa viene demolita negli anni ’70 per lottizzarne il parco con tre ville al posto di una. Il progetto della splendida villa Suligoj al 38, senz’altro la più avvincente, si deve a Giovanni Marra (1931-2013) che per i calcoli strutturali si avvaleva dell’ingegnere Bernardo Bensa del quale appare la firma sui progetti, dato che il progettista non era abilitato.

Marra non era architetto, ma nel secondo dopoguerra l’effervescenza edilizia era forte e come in 3-4 altri casi a Gorizia, non serviva la firma ma saper fare. E ci sapeva indubbiamente fare, come mostra l’articolato movimento dei volumi in lamiera scura dagli angoli spuntati, inserito tra gli alberi antichi per conservarne il più possibile, contrastato delle terrazze bianche agli angoli.

Si percepisce una certa atmosfera zen, come in molte delle ville progettate dallo stesso autore, che dopo il diploma al liceo artistico di Venezia frequenta per qualche anno Architettura, che ben presto abbandona per darsi al lavoro, come molti altri.

Mentre i volumi ricordano l’architettura organica di Wright, gli elementi di dettaglio, il ritmo dei serramenti, la stessa opera artistica in ferro rosso all’ingresso, risentono dei giapponesismi di Carlo Scarpa, pure lui senza laurea ma all’epoca docente all’università veneziana in architettura degli interni, arredamento e decorazione.

Il senso coloristico imparato all’Accademia e praticato sulla tela, si riflette invece nella leggerezza di questi volumi di lamiera scura che pare si posino senza gravità sul basamento bianco, in una orizzontalità stratificata e sostenuta dalla slanciata verticalità dei grandi alberi conservati tutto attorno. —

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