Gli artisti al fronte generazione perduta che lascia capolavori

Timmel, Orell, Cernigoj, Bolaffio con gli austriaci Wostry, Sambo, Sofianopulo, Cernivez irredentisti
Ardengo Soffici in divisa da ufficiale
Ardengo Soffici in divisa da ufficiale

L'ufficiale Ardengo Soffici non sapeva che attraverso il dolore avrebbe conosciuto l'amore. Che dietro il fronte del Carso forse il più straziante della Grande Guerra, dalla Bainsizza alla ritirata di Caporetto descritti dal pittore-scrittore nei suoi libri, una donna sarebbe comparsa nel Friuli in macerie. Lei, Maria Sdrigotti nata a Udine il 13 ottobre 1897, illumina la sua vita. Si sposano a Firenze nel '19. Soffici ha quarant'anni, Maria appena ventidue. Maria è il conforto, madre dei suoi figli, il focolare domestico del quale aveva bisogno. Tanto che nel museo di Poggio a Caiano nella toscana di Ardengo, un ritratto la delinea nelle vesti di quelle presenze femminili a fianco dei loro uomini durante un altro altro terribile conflitto, il secondo. Mondiale come il primo, molto peggio per le nuove scoperte tecniche e scientifiche applicate al male assoluto.

Ferito due volte e decorato, Soffici dall'autunno del 1917 è trasferito al comando della II Armata e poi della V con compiti di propaganda. Nella primavera del 1916 il suo battaglione di Fanteria passa per Udine prima di proseguire verso il fronte. Qui dipinge “Paesaggio a Chiavris”. Il luogo può ricordare un paese nella campagna di Prato perché pianura e collinare si assomigliano ovunque. Perché come scrive Pavese “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”. E Soffici prima della prima guerra va a Parigi. In quei tempi difficili a ridosso delle trincee, non smette di dialogare con pittura e scrittura. “Kobilek” esce nel 1918 e l'anno dopo pubblica “La ritirata del Friuli” dedicato ai generali Cadorna e Capello che difende anche nella commissione d'inchiesta su Caporetto. Ma uno scritto sull'Avanti suona come un inno “al soldato d'Italia. A tutti i soldati della Patria. Anche a quelli di Caporetto”.

Tanti altri artisti muoiono nelle maledette giornate oscure che portano via il cavaliere azzurro Franz Marc, l'amico di Kandinsky, ucciso a Verdun il 4 marzo 1916 al quale la poetessa Else Lasker Schüle scrive lettere struggenti. Nel necrologio che sul “Berliner Tageblatt” accompagna la morte al fronte di Marc lei lo trasforma nell'eletto di Dio: “Il cavaliere azzurro è caduto, era un grande personaggio biblico intorno al quale aleggiava il profumo dell'Eden. Gettava un'ombra azzurra sul paesaggio. Era colui che ancora sentiva parlare gli animali e trasfigurava le loro anime incomprese”. August Macke che nell'aprile 1914 condivide il viaggio in Tunisia con Paul Klee è il primo ad andarsene. Muore in settembre a 27 anni sul campo di battaglia a Perthes les Hurlus.

Nel drammatico 1916 il giorno dopo Ferragosto Umberto Boccioni va incontro alla sua fine sfortunata. Banale, poetica, donchisciottesca, cadendo da cavallo a Chievo e non durante una missione. Militare in artiglieria, decide di cavalcare una giumenta destinata al traino di cannoni e bombarde, pur non avendone l'esperienza e forse sognando la velocità dei purosangue esibita in quel palcoscenico che fu il Futurismo. Ma a proposito di donne che assecondano i sogni di qu. esti visionari, la corrispondenza fra Boccioni e l'amata principessa romana Vittoria Colonna discendente della poetessa musa di Michelangelo, con la quale trascorre le ultime settimane felici sul Lago Maggiore, ci rivela la fatica e il coraggio del pittore combattente amico di aristocratici e grandi borghesi.

La sua vita si divide fra due mondi: quello dei salotti eleganti e l'inferno delle giornate con la truppa. Boccioni parte con il Battaglione volontari ciclisti e successivamente passa in artiglieria. Scrive alla sua principessa, sposata Caetani altra dinastia capitolina: “Mi alzo alle cinque e devo andarmi a lavare a duecento metri o più nell'Adige...Penso alla vostra colazione sulla terrazza... Siamo in tredici in una piccola camera di una casa di contadini requisita...Alle 5,½ quando il mio amore ha preso o prende il thè, io poveraccio, vado a prendere il rancio”. La loro passione scuote la buona società. E l'artista pur fedele al suo ideale, nella seconda fase dell'impegno militare non è quello dello scontro a fuoco di Dosso Casina insieme agli amici dello stato maggiore futurista: Filippo Tommaso Marinetti, Luigi Russolo, l'architetto Antonio Sant'Elia e Mario Sironi. Lo studio milanese a Porta Romana pieno di luce e l'amore tuttavia non riescono a distoglierlo dalla devozione alla sua Italia. O solamente in parte. Non è ufficiale e un po’ ne soffre perché il popolo dell'artiglieria è ignorante e lui è un angelo prestato all'esercito. Soffici e soprattutto Boccioni in fondo rappresentano a loro modo l'arte per l'arte. Nel 1914 il maestro futurista parla di “stato d'animo plastico”. Per lui l'oggetto è un nucleo di direzioni che appaiono come forma. Eppure sceglie la guerra in cui estetica e amore non contano.

Sant'Elia muore, sempre nel 1916, sul campo di battaglia del Carso vicino a Monfalcone. Si lancia all'attacco col suo plotone e viene colpito da una fucilata. Gli assegnano una seconda medaglia d'argento.

Va molto meglio a Carlo Carrà e Giorgio de Chirico rifugiati nell'ospedale militare per malattie nervose a Villa del Seminario di Ferrara dove nel 1917 nasce la pittura Metafisica. Il copyright è del pictor optimus. E a proposito di donne nel caso dei fratelli de Chirico c'è una figura dominante, quella della madre Gemma che li accompagna perfino dove vestono la divisa. Anche Andrea (Alberto Savinio) è al 27° Fanteria e tutti e tre sono protetti dalla famiglia di Filippo de Pisis, i nobili Tibertelli. Non è fra l'altro escluso che i rapporti con Ernesta, figlia del conte e sorella di Filippo, siano alla base dell'improvviso spostamento di Savinio a Salonicco come interprete in un ospedale militare italiano nelle retrovie sui Balcani. Savinio nella corrispondenza con De Pisis si lamenta che gli amici lo abbandonano e che “i confratelli d'Italia rimangono sempre gli stessi”. Un termine - “confratelli” - usato sia nelle comunità ecclesiastiche, sia in quelle massoniche.

In questa devastante guerra gli espressionisti tedeschi, il mondo legato a Die Brücke (Il Ponte), quegli studenti di architettura amanti dei colori fra i quali Ernst Ludwig Kirchner che volevano essere un “ponte” verso un futuro perfetto ispirandosi a un passaggio di “Così parlò Zarathustra” di Friedrich Nietzsche, crollano insieme ai sogni del Blaue Reiter. I futuristi li seguono nell'utopia di un mondo migliore. I francesi combattono eroicamente con André Derain, Georges Braque gravemente ferito alla testa e Fernand Léger. Ma tutto sommato credono solo alla loro pittura e non a una nuova rivoluzione. Ne escono vincenti e vivi mentre Kirchner, uno dei grandi dell'espressionismo tedesco, cede. Il Diario di Davos ne sublima la sofferenza che culmina nel suicidio. Solamente Otto Dix ride in faccia alla guerra pur facendosela addosso. E lascia opere memorabili.

Egon Schiele soldato che gode di protezioni, il 7 febbraio 1918 disegna con un gessetto nero Gustav Klimt morto nell'obitorio dell'Allgemeines Krankenhaus a Vienna. La barba rasata rende quasi irriconoscibili i lineamenti del maestro che non fu suo insegnante ma esercitò grande influenza sul giovane genio non amato da Oskar Kokoschka, ferito sul fronte orientale. Oskar non perdona a Egon, più giovane di lui di quattro anni, di avergli tolto il ruolo di unico pittore espressionista dell'Austria. Schiele muore di influenza spagnola dopo la moglie Edith, dipinta su sfondi astratti come Friederike Maria Beer nel 1914. È l'inizio di una nuova era. Gli Asburgo non amano i cambiamenti. E persino il vecchio Albin Egger Lienz con “La danza macabra dell'anno nove”, quei contadini accompagnati in guerra dalla morte, disturba esteticamente l'erede al trono Francesco Ferdinando quasi fosse un presagio nefasto. Se la Corte non comprende il genio degli artisti quella dinastia finisce il suo tempo.

A Trieste intanto i pittori si dividono fra irredentisti e quelli che nel 1916 sono chiamati dalla parte opposta, il 97° Reggimento a Radkersburg, località all'attuale confine fra Austria e Slovenia. L'Austria-Ungheria e dunque Trieste e Gorizia un mese dopo l'attentato di Sarajevo sono in armi contro la Serbia. Il Circolo artistico verrà sciolto dagli austriaci nel 1915 in quanto filo-italiano. Fra le truppe figurano Vito Timmel (Viktor Thummel nato a Vienna) e Argio Orell. Non sono l'élite dell'Impero, è tramandata infatti una tradizione poco eroica.

Nei dintorni di Radkersburg viene mandato Augusto Cernigoj che ha un'avversione per la violenza e dirà di non aver mai sparato un colpo. Non ama la guerra neppure il goriziano Vittorio Bolaffio chiamato con gli austriaci. Durante una marcia si mette a fare una serie di capriole. Invece che al fronte lo mandano in ospedale. Bolaffio ci lascia due intense figure: “Soldato che suona il violino” (Ritratto di Giovanni Valig) del Museo Revoltella e “Ritratto di Giuseppe Rosanz” (Rosani) in abiti militari. Il primo è goriziano, il secondo triestino. Due dei tanti che combattono per l'impero asburgico.

Carlo Wostry, Cesare Sofianopulo cittadino greco e Franco Cernivez il trenta ottobre 1918 corrono per primi sul campanile di San Giusto. Suonano il campanone a festa mentre la gente sventola il tricolore. Un quadro rievoca la giornata, in basso a destra si legge: “Carlo Wostry che primo strappò da questo bronzo l'Osanna della Redenzione”. La bella storia dell'irredentista Edgardo Sambo lo porta invece dal fronte della Grande guerra alla direzione del Museo Revoltella guidato dal 1929 al 1956. Soldato per quattro anni e poi ufficiale nel 17° Reggimento artiglieria da campagna, si distingue per valore tanto da guadagnare tre Croci al merito. La Battaglia sul Piave olio cromaticamente acceso è il commosso ricordo di quell'epopea, mentre in Me pro Patria devoveo (entrambi proprietà della Fondazione CrTrieste) rievoca la medaglia d'oro del triestino Carlo Stuparich.

Il gradiscano Luigi Spazzapan è chiamato alle armi il 6 agosto 1914 come Fähnrich, una specie di aspirante ufficiale, nel 79° reggimento di fanteria croato di stanza presso Fiume. Il 6 giugno 1916 circondato con il suo reparto dai russi a Libanowska, riesce a rompere l'accerchiamento. Il comandante propone il conferimento di una ricompensa al “tenente” Spazzapan. È apparentemente un mastino della guerra o più semplicemente un uomo che fa il suo dovere. Come Veno Pilon, amico di Spazza. Eroici o imboscati, idealisti o semplici cittadini che eseguono quanto è loro richiesto i pittori sono uno spaccato della società chiamata al fronte. Estendendo la definizione resa celebre da Gertrude Stein e Ernest Hemingway, anche quella degli artisti è stata una generazione perduta. Ma, come nel caso degli scrittori, non nelle opere.

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