Gli inglesi di Trieste in coro: siamo in Europa, vogliamo restarci

TRIESTE. Senza nemmeno ragionarci su tanto, ci si accorge che gli stessi inglesi all'estero potrebbero diventare da un giorno all'altro degli extracomunitari dopo il referendum di oggi indetto dal primo ministro David Cameron. Se ne sono resi conto benissimo loro stessi. E anche a Trieste qualcuno trema. «Sarebbe una tragedia se vincesse il sì - dice John Martin Dodds, segretario regionale della Camera di commercio britannica ed ex console onorario della Gran Bretagna a Trieste -, ci vorrebbero come minimo cinque, sei anni per un altro assetto, molti risulterebbero senza permesso di soggiorno».
A sentire gli inglesi "triestinizzati", chi nel Regno Unito vuole uscire dall'Unione europea dovrà rassegnarsi: la Brexit oggi «non deve passare». È vero però che, stando ai sondaggi di ieri, si è formata una percentuale quasi paritaria tra chi è pro e chi è contro l'uscita dall'Ue. Resta comunque un'incognita il "dopo" di un'eventuale divorzio di Londra dal continente.
«Ho chiesto a mia figlia di ospitarmi da venerdì - dice scherzando Peter Brown, direttore della British School Fvg, sceso dall'Orient Express 42 anni fa a Trieste per caso, dove ha deciso in pochi minuti che qui avrebbe messo su casa -, ci sono due milioni di persone via dall'Uk, cosa diventeranno quelle che sono da più di un anno fuori dal loro Paese? Sono atterrito dal clima surriscaldato che si è creato nel dibattito, non ho mai visto dei toni così aggressivi nella politica inglese», afferma Brown. E l'assicurazione medica? E le pensioni? «Come verranno gestite?». «E la circolazione delle persone?», si chiedono soprattutto quelli che dovranno tornare nel loro Paese per trovare i propri parenti.
«È un voto di pancia, il dopo è troppo vago - commenta Colin Thompson, che lavora nell'amministrazione del Collegio del Mondo unito. -. Mi ricorda la situazione del Belgio senza governo per molto tempo, manca chiarezza dal punto di vista legislativo e anche economico. Come verranno scritti i decreti attuativi? Chi li prenderà in mano?». C'è confusione, nessuno sa cosa succederà poi, né all'estero né in Uk. «Dei miei amici, anche da quello che vedo attraverso Facebook, e delle persone con cui ho lavorato che vivono lì - racconta Tim Metcalfe, insegnante all'International School di Trieste, un inglese convinto, nato in Sud Africa e al momento però deluso dal suo paese adottivo -, non conosco nessuno che voterà pro Brexit. Resta comunque un'ampia fetta contro, il che è preoccupante. È una decisione politica che proviene da un solo partito del Regno Unito, che rischia di riportarci indietro nel tempo prima che il club comunitario nascesse». Non occorre chiedere perché parte del suo popolo ha deciso di voler tagliare i rapporti con il Vecchio continente, lo dice senza esitazione.
«L'immagine che associano, pensando a questa organizzazione sovranazionale - ipotizza assieme alla moglie, Michelle Young, anche lei di origini sudafricane, emigrata dopo il liceo nel Regno Unito, divenendo anche lei cittadina inglese - è quella di una burocrazia senza volto e non democratica, non vedono la differenza tra l'Unione europea e l'Europa come continente e quindi associano a questa le persone che comandano loro come gestire perfino la vita, cosa che io non credo sia vera. Non realizzando invece che è democratica e che ci sono molte cose positive».
Da più di trent'anni a Trieste, ex impiegata e ora casalinga, Adrienne Thomas, che come molti altri non potrà votare (il referendum è riservato a chi vive all'estero al massimo da 15 anni), cerca di dare una ragione a quest'ondata di euroscettici. Lei, che in Italia sta molto bene e che non vorrebbe mai abbandonarla, ha anche una figlia che studia a Oxford. «La maggioranza dei ragazzi della classe, mi ha raccontato Emma, sono favorevoli a rimanere. Alla fine far parte di un gruppo di paesi rende più sicuri». E proprio il tema della sicurezza è quello anche che divide le due fazioni. Da una parte c'è chi vuole uscire dal Regno Unito perché ci sono troppi immigrati «che rubano il lavoro agli inglesi». «Ma non è vero, non è questo il punto - dice Dodds -, gli immigrati fanno i lavori che gli inglesi non vogliono più fare».
Concordi tutti che l'Unione non è perfetta, ci vuole una riforma «ma non è questo il modo giusto per risolvere i problemi dice Lawrence Earle, libero professionista, laureato in Architettura, figlio del famoso giornalista John, morto nel 2013, che dopo la guerra aveva scelto di vivere a Trieste - se usciamo, siamo fuori per sempre, invece da dentro le cose si possono cambiare, basta lavoraci su. Come si muoveranno le merci ad esempio tra Scozia e Irlanda del Nord? Prenderemo l'assetto canadese, svizzero o norvegese?». Per il momento non ci sono risposte.
Regno Unito diviso, famiglie altrettanto separate. Decisioni e opinioni in contrasto. Tra Italia, precisamente tra Trieste e il Regno Unito. Tutti da qui seguono via radio, tv e giornali, minuto per minuto, cosa succede, sentono le famiglie oltremanica. Si scoprono diversi pensieri, bisogna calcolare anche chi è nel limbo, «questo 8-10% che non ha ancora deciso - dice John Martin Dodds, ex console onorario per la Gran Bretagna a Trieste -, rimaniamo così in attesa».
«Ho due cugine, una pro e una contro e un cognato ancora indeciso» dice Lawrence Earle, libero professionista. Anche Adrienne Thomas, ex impiegata e ora casalinga, dalla sua città adottiva mantiene probabilmente una conversazione ancora più attiva con la sua famiglia. «Parlando anche con una delle due mie sorelle che vivono lì, di cui una è a favore del cambiamento, quella contro Brexit concorda con me che il nostro Paese è un'isola e dunque le cose da lì si vedono diversamente e si è formato per tale ragione un carattere indipendente, sono abituati a cavarsela da soli. Durante le cene ci sono sempre discussioni, mi raccontano, e si litiga anche parecchio. Forse ora l'omicidio della deputata Jo Cox ha fatto meditare», dice con un accento molto neutro.
L'isola, dunque, di cui una parte si sente estranea da alcuni meccanismi europei, vede troppi vincoli a causa delle decisioni brussellesi. E ciò s'inserisce nella lista delle motivazioni delle persone che voteranno pro Brexit, e per cui si è formato nel corso del tempo questo euroscetticismo made in Uk. Thomas è molto perplessa, pure lei anti-Brexit, non capisce il referendum. «Non so cosa succederà poi - dice -, ho ascoltato molti dibattiti via radio della Bbc. Come fa uno a decidere in base ai tantissimi campi che verranno coinvolti e di cui non si sa l'esito, dai consumi all'agricoltura alla pesca ai viaggi e al lavoro?».
«La Brexit - commenta invece Nicholas Carter, ex lettore di lingue all'Università di Trieste, nato in Inghilterra, ma vissuto in Africa, Spagna, Irlanda e a Trieste dal 1986 -, è la fine della generosità del Regno Unito verso tutti coloro che hanno subito una colonizzazione. Nel 1967 sono tornato in Uk e ho ritrovato mio padre che era furioso con il governo. Era il momento di decidere se entrare o meno nel mercato europeo, e sottolineava giustamente: “Noi paghiamo queste persone per governare e loro si aspettano che il popolo voglia votare si o no”. E ora il cerchio si ripropone».
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