Grave la crisi della Tirso di Muggia: stop alla produzione
Lo stabilimento tessile triestino non riesce a pagare i fornitori. In cassa i 175 lavoratori. Sindacati in trincea dopo l’incontro con l’imprenditore Parodi, tavolo di crisi in Regione con azienda e parti sociali
Tirso non riprenderà a produrre. L’azienda tessile triestina con base alle Noghere non è in grado di pagare gli arretrati con i fornitori di corrente elettrica. La capogruppo Fil Man Made Group ha deciso di non riaprire i battenti, pur essendosi impegnata a ricominciare le attività da inizio settembre.
Lavoratori in cassa integrazione
I 175 lavoratori sono al momento coperti da cassa integrazione ordinaria, ma l’intenzione di chiudere l’impianto è stata comunicata ieri ai sindacati direttamente dall’imprenditore Andrea Parodi. Nell’incontro tenutosi in Confindustria, il proprietario della trevigiana Fil Man Made ha però anche annunciato di avere intavolato una trattativa con una società disposta a rilevare la fabbrica e assorbire tutte le maestranze. Se ne saprà di più oggi, a conclusione del tavolo di crisi che la Regione ha convocato con azienda e parti sociali.
Manifestazioni di interesse
Regione, Friulia e Confindustria preferiscono non rilasciare dichiarazioni in attesa degli sviluppi dell’incontro. Da quanto filtra, però, è acclarata la scelta di Parodi di non ripartire, nonostante la vendita di uno stabilimento in Cina avesse lasciato pensare che Fil Man Made utilizzasse i proventi (si parla di 11 milioni) per risollevare le sorti di Tirso.
L’imprenditore intanto ha reso noto di aver ricevuto una prima manifestazione di interesse per lo stabilimento, ma di ritenere troppo basso il valore della prima offerta.
Il confronto
Serve insomma una trattativa per avvicinare le parti e oggi si capirà probabilmente cosa potranno fare Regione e Friulia (la holding detiene quote di Tirso e i patti parasociali le danno il diritto a mettere la società sul mercato) per accompagnare il confronto tra privati e avvicinare domanda e offerta. Al momento l’identità del potenziale acquirente è riservata: si sa però che l’ambito di attività non è relativo al tessile e che, attraverso un percorso di riqualificazione, l’operazione consentirebbe di riassorbire tutti le lavoratrici e i lavoratori, che oggi lavorano alla produzione di filati ignifughi, per tendaggi e per l’industria dell’auto.
Parodi ha invece rifiutato una precedente offerta da parte di un player della logistica, che non avrebbe reimpiegato i lavoratori, mentre al momento pare tramontata l’ipotesi di un’operazione di leasing immobiliare che avrebbe permesso a Tirso di cedere l’edificio che la ospita e continuare a produrre al suo interno.
I sindacati
I sindacati chiedono intanto che la società formalizzi la volontà di chiudere. La cassa integrazione ordinaria scade infatti a metà novembre e solo la cessazione dell’attività consentirebbe di ottenere 12 mesi di cassa straordinaria. È la via maestra indicata dai sindacati, ma non si può neppure escludere che la società si trovi costretta a dichiarare fallimento.
I sindacati si tengono attendisti in attesa del confronto in Regione e chiamano in causa le istituzioni. La segretaria provinciale della Femca Cisl Anna Furlan dice che «non è il momento di fare dichiarazioni sulle trattative: aspettiamo il tavolo per capire quali saranno le decisioni di Regione e Friulia, perché la partita non riguarda solo i privati, ma chiama in campo le istituzioni».
Filippo Caputo, segretario della Fesica Confsal di Trieste, si dice «ottimista perché la trattativa in piedi è con un’azienda seria e la differenza tra domanda e offerta non è enorme: penso che con l’aiuto di Regione e Friulia si potrà arrivare a una soluzione che garantisca i dipendenti. I lavoratori vanno però accompagnati con la cigs, ma per chiederla serve che l’azienda dichiari di non essere in grado di ripartire. Il sindacato è presente e non abbandona i lavoratori». Il segretario triestino della Filctem Cgil Fabrizio Zacchigna chiosa dicendo che «esistono ipotetici acquirenti e attendiamo che arrivino proposte concrete che possano dare un futuro ai lavoratori e al sito produttivo».—
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