Greco: "Le mostre? Il grande evento è Trieste Su questa città la Regione deve puntare di più"

«Le iniziative che proponiamo non sono casuali: lavoriamo su temi e personalità che partono da qui cercandone un intreccio con le vicende italiane ed europee». «Nuovi acquisti per le collezioni del Revoltella? Le risorse non ci sono. Ma il museo potrebbe avviare una politica di scoperta e valorizzazione di giovani talenti»
L'assessore Massimo Greco
L'assessore Massimo Greco
TRIESTE
. Il manganello nel suo ufficio, quello di cui molti sussurrano? Dev’essere proprio questo, usato come fermacarte. Lui cita Totò - «ma mi faccia il piacere» - e ti fa notare che la fabbricazione non risale a 80 ma a pochi anni fa e che di mattarello trattasi, «roba per tirare la pasta, roba da ridere». Dice così
Massimo Greco
, nel suo ufficio di Palazzo Gopcevich. L’
assessore comunale alla cultura
dice - seriamente - molte altre cose. A chi lo accusa di non promuovere i grandi eventi risponde che «l’evento è Trieste». Invita alla cautela nel parlare di accorpamenti di musei. E sostiene che sul versante cultura-e-turismo Trieste rappresenta quel «qualcosa in più» su cui la Regione dovrebbe puntare con maggiore decisione.


I dati annuali 2008 danno sette musei civici in crescita e nove in calo di visitatori. Cosa c'è che non va?

Intanto nel 2009 abbiamo incrementi abbastanza significativi soprattutto su castello di San Giusto, museo Revoltella e Foiba. E poi, al netto delle mostre, muoviamo per le sole attività museali circa 300mila visitatori all'anno. Risiera, Foiba, Castello di San Giusto e Acquario: questi quattro istituti fanno circa 250 mila presenze.


Vale dunque l’ipotesi di un accorpamento di strutture di più modeste dimensioni, emersa negli ultimi tempi?

È un discorso da fare con estrema attenzione. Ecco, non ci sono cose che non vanno. C'è semmai una città con un sistema museale molto complesso e frammentato, e perciò con possibili problemi di gestione: siamo - per nostra fortuna - eredi di numerosi lasciti. Ma cerchiamo di non immiserire il rapporto con la cultura a semplice base di sbigliettamento: a Trieste esiste un giacimento culturale che ha un valore patrimoniale, ma anche civile e sociale. Ci possono essere attività da razionalizzare, e del resto - si vedano palazzo Gopcevich o il polo di via Cumano - lo stiamo facendo. Per altre possibilità stiamo compiendo delle valutazioni. E non dico di più perché alcune riguardano il Comune ma anche altre istituzioni.


Sinergie? Con Regione o Provincia?

Potrebbe essere con la Regione. Non c'è ancora un progetto preciso: riguarderebbe la cultura del mare.


Il Museo del mare...

Io qui mi fermo.


Via Cumano: posizione decentrata, carente di servizi. Come scommetterci?

Certe operazioni le si fa tenendo conto di quanto si ha a disposizione. La zona è difficile ma interessante: una sfida. Nel tempo può diventare un'area culturale attrezzata con spazi a disposizione e opportunità più difficili da reperire altrove.


Contenitori e contenuti. Le grandi mostre, quelle che fanno girare il nome della città, latitano.

Io credo che buona parte delle iniziative che abbiamo organizzato, da Leonor Fini ai Serbi a Trieste, sia stata di notevole valore e livello culturale.


Le grandi mostre però sono anche attrazione turistica.

Se per grande evento intendiamo un unico fatto che prosciuga bilancio e sponsor e su cui si basa l'attività culturale di una amministrazione, la mia risposta è no. Sono decisamente più incline a una politica culturale che si basa sull'animazione e l'alimentazione di più siti e più opportunità di carattere culturale.


Eppure gli eventi promossi a Treviso, Brescia o Rovereto girano tutta Italia con le loro brochure.

Ecco, Trieste non è la piccola città di provincia che più facilmente può ospitare il grande evento catalizzatore. Chi ragiona in termini di grande evento ragiona in termini meschini e provinciali. Una città con questo valore e questa tradizione culturali ha il dovere di impostare una proposta più articolata. Le iniziative che proponiamo non sono casuali. Il mio riferimento è il trinomio Trieste - Italia - Europa. Da Dorfles a Mascherini a Strehler, lavoriamo su personalità e temi che partano da Trieste cercandone un intreccio con la vicenda nazionale ed europea.


C’è un rischio forte di autoreferenzialità.

Autoreferenziali? Lo saremmo se gli spunti di lavoro restassero rinserrati nel municipio anziché ampliarsi verso l'Italia e l'Europa. Trieste ha una vicenda così ricca, interessante, atipica nel panorama italiano che giocare su se stessa non diventa meschino, a meno di pensare a temi o personaggi di spessore rionale. Il mio sforzo va verso la valorizzazione e promozione del territorio. Insomma lo slogan non è "l'evento a Trieste", bensì "Trieste è l'evento". E la cultura, con un ovvio margine di crescita, fa ampiamente il suo dovere. Bisogna ragionare piuttosto su come muoverci in termini promozionali: il coordinamento sulle politiche turistiche è secondo me carente. Vorrei che la cultura fosse più supportata, contestualizzata in una politica di offerta che secondo me è ancora timida.


Cioè?

Trieste deve credere di più in se stessa. Diciamo poi che se avesse le attenzioni di Villa Manin se ne gioverebbe. Questa è l'unica realtà della regione che abbia il pedigree per sviluppare il binomio cultura-turismo di cui tanto si parla e straparla. C’è un problema che riguarda Regione e Turismo Fvg, che a mio giudizio non tiene nel dovuto conto la risorsa Trieste.


L'allineamento politico dei pianeti non ha dunque sortito effetto.

Io dico che ci sono delle criticità. E non è solo un fatto di quattrini, ma anche di mentalità, convinzioni, scelte.


E i quattrini, appunto?

Il mio principale interlocutore sul territorio è la Fondazione CRTrieste; di seguito viene la Regione, poi gli altri. Nel 2009 sinora in tutto ho raccolto 620 mila euro.


Il sindaco, o gli esponenti triestini in Regione non sanno farsi valere?

Ma no... Si tratta di individuare la cultura come indicazione strategica di sviluppo di un territorio, e questo è un concetto che andrebbe debitamente rafforzato. Dicevo, il coordinamento sulle politiche turistiche è carente.


Per questo Trieste ha spazio poco o nullo sulla stampa nazionale?

Non è proprio così. Alla mostra sui Serbi il Corsera ha dedicato una pagina. E per Berlino 1989, le anticipazioni dell'intervento di Ernst Nolte sono state riportate ampiamente dai quotidiani Libero e Il Giornale.


Infatti l’operazione Nolte a detta di molti ha avuto una chiara valenza politica.

Ma no: basta guardare al dépliant dell'iniziativa.


Perché invitare proprio uno storico revisionista?

Nolte è innanzitutto un grande storico, e l'aggettivo che lo accompagna pedissequamente non dà ragione della qualità del lavoro di un intellettuale tedesco di 86 anni che ha le componenti generazionali e culturali per affrontare il nocciolo duro dell'operazione che abbiamo fatto in un'ottica epocale di lungo periodo.


Niente confronto tra opinioni diverse?

Questione di scelte. Ma va fatta attenzione: si dicono e si scrivono molte sciocchezze, poi qualcuno deve riflettere su talune responsabilità.


La contestazione di pochi giorni fa al Revoltella.

Spiace che qualche giovane sia caduto in una protesta vecchia.


Ex Pescheria. Roberto Menia tempo fa è stato tagliente: ”Un buco nell'acqua”. Quand'era assessore alla cultura, ha spiegato, aveva preso contatti per fare entrare il contenitore nel circuito delle grandi mostre, ”mica per ospitare - ha chiuso - parrucchieri e scatolette di fiammiferi”...

Ho sempre cercato accuratamente di evitare le polemiche. Le iniziative all'ex Pescheria sono di qualità, da Sottsass alle Vele di Pace. Poi la usiamo anche per altre cose. Quanto al circuito, ecco un altro spunto cui tengo molto: politica culturale significa attivare e dissodare un indotto culturale. Se importiamo mostre non facciamo politica culturale, bensì gli affittacamere. E io non lo sono.


Circuito però significa anche dialogo con l’esterno.

Ma il dialogo c'è, senza contatti e collegamenti non si potrebbero realizzare mostre come quella su Leonor Fini.


Per chiudere con l'ex Pescheria, come ne vede il futuro all'interno di un eventuale Parco del mare?

In giunta ho votato sì al Parco del mare. Ma ritengo che la Pescheria debba naturalmente far parte di un intervento urbanistico significativo, se in quell'area: può esserne fatto un uso coerente sotto il profilo tematico.


Un Museo del mare?

Per esempio.


Il Revoltella. Nato come museo di arte contemporanea, non rinnova le proprie collezioni da decenni, ha un curatorio che si dice messo in disparte e che ne auspica un rilancio.

Il curatorio così com’è non è utile, ma non voglio polemizzare. Il museo non langue, è bello e visitato. Le collezioni d'arte? Il discorso non può essere semplicemente di tipo acquisitorio, perché implica risorse che non ci sono, e su questo occorre essere realisti. Il Revoltella invece - e stiamo ragionando sul come - può avviare una politica di scoperta e valorizzazione di giovani talenti, agendo da magnete in un'area geoculturale non squisitamente municipale. Questa può essere la strada lungo la quale il Museo disegni il proprio rapporto con la contemporaneità.


Ha parlato di un'area geoculturale non municipale. Resta il fatto che Trieste non pare avere dal punto di vista culturale rapporti con capitali vicine come Lubiana: non guarda a Est.

Potrei dire che forse l'Est non guarda a Ovest. Siamo a disposizione senza preclusione. Sicuramente poi parecchie delle operazioni fatte finora - da Mascherini a Leonor Fini - hanno coinvolto istituzioni museali tra le più prestigiose.


Non parliamo solo di arte del passato, ma anche del presente.

C'è un rapporto osmotico tra amministrazione e associazionismo culturale: con Juliet per esempio, che opera in modo importante nel quadro dell'arte contemporanea, abbiamo fatto tre iniziative, Siamo a disposizione.


Lei ha citato il trinomio Trieste - Italia - Europa. E la Trieste multiculturale?

Multiculturale e multireligioso sono aggettivi che non mi appartengono e che non uso. Trieste è una città italiana che ha delle comunità storicamente insediate molto importanti e significative, con cui c'è un dialogo costante e fecondo. Abbiamo fatto iniziative sugli armeni, sulla Comunità greco orientale e su quella serbo ortodossa. Non diciamo fandonie.


E con la comunità slovena?

Si può ragionare come con qualsiasi altra comunità, certo non è che debba essere io obbligatoriamente a muovermi: il dialogo implica reciprocità. Per la mostra sui Serbi abbiamo avuto una mano dalla Banca cooperativa del Carso. Porte aperte, insomma: l'importante è che si giochi con chiarezza.


Un'ultima domanda: perché lei non permette ai suoi dirigenti di parlare con i giornalisti? Non ritiene abbiano una propria dignità di professionisti della cultura?

Non è questione di lesa dignità né è negazione di ruolo: è, anche per loro tutela, assunzione di responsabilità. Quando si parla di politiche culturali, di aspetti di carattere programmatico, parla l'assessore.
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