Guardarsi negli occhi per almeno un minuto: la sfida per rimanere umani all'Università di Trieste

Centinaia di studenti si sono dati appuntamento ieri pomeriggio all’Università di Trieste per la seconda tappa di Stay Human, il flashmob in cui i partecipanti si dispongono a coppie, seduti l’uno di fronte all’altro, guardandosi negli occhi per almeno un minuto. Lo scopo dell’iniziativa, nata sulla scia del 10 dicembre, giornata internazionale dei diritti umani, è quello di indicare simbolicamente la necessità di rimettere al centro delle relazioni il contatto umano, in particolare quello visivo.
L’idea di replicare l’evento anche nel polo universitario triestino, dopo l’edizione di piazza Verdi, è stata portata avanti dall’Aiesec, dall’Associazione degli studenti di Scienze politiche e dalle liste studentesche “Autonomamente” e “Lista di Sinistra”.

«Oggi più che mai - sostiene Giulia Anderson, al terzo anno di Scienze politiche, tra gli organizzatori - riteniamo necessario riacquistare il senso delle relazioni e della vita di comunità, anche attraverso piccoli gesti come quello che abbiamo visto oggi». I giovani hanno scelto il cortile interno dell’Università per posizionare le sedie, un luogo di passaggio. La scelta è stata fatta per intercettare più persone possibile e fare in modo che chiunque, non solo chi fosse già a conoscenza della cosa, potesse fermarsi e sedersi. La musica di due giovani violinisti del Conservatorio ha accompagnato tutto, come già in piazza Verdi.

«La musica è fondamentale per creare un’atmosfera magica, fuori dagli schemi e dalla fretta di ogni giorno» precisa Giulia. Gianpietro Gagliardi, anche lui studente di Scienze politiche al terzo anno, ha contribuito alla realizzazione di Stay Human: «In una società dove le emozioni, l’amore e persino il sesso sono sbattuti continuamente in prima pagina e condivisi sui social network, pensiamo sia necessario fermarsi un attimo per recuperare una dimensione d’intimità». Sono tanti i ragazzi che per curiosità si avvicinano. Bastano pochi secondi, a chi si siede, per lasciarsi andare. C’è chi ride, chi piange e chi si abbraccia. Così Andrea Bortoletti, al secondo anno di Psicologia e coorganizzatore: «Non dobbiamo vergognarci di esprimere le emozioni che proviamo. È il bello di essere umani»
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