I 120 anni dalla nascita dell’altoforno che divide
La prima colata nell’impianto di Servola nel novembre 1897

La fabbrica era pronta da un anno, ma è il 24 novembre 1897 che la Ferriera di Servola vide scorrere la sua prima colata. Era l’inizio di una lunga storia, fatta di lavoro, sicurezze, fatica, dolore e proteste, che prosegue ancora oggi.
Nel momento in cui suonava la prima sirena della fabbrica, buona parte dell’Europa era ancora parte degli Imperi centrali, Trieste era lo sbocco al mare dell’Austria Ungheria, lo zar aveva ancora vent’anni di regno innanzi a sé. Oggi il mondo è mutato: l’Europa è unita non sotto una corona ma nel segno di Bruxelles, il porto sta tornando vitale per il Centro Europa dopo un ciclo durato cent’anni, Trieste ha cambiato volto, ma la Ferriera di Servola è sempre lì, affacciata sul golfo.
Non è più la stessa di centoventi anni fa, ma continua a fare il suo mestiere. Con tutto ciò che esso comporta in termini di occupazione e ambiente, due aspetti ineliminabili, che a volte la politica ha messo in contrapposizione.
Chi tesse le lodi dell’effetto sull’occupazione è sicuramente Osvaldo Bianchini, quasi 79 anni, ex dipendente dell’impianto: «Prima di me ci ha lavorato mio padre, per 35 anni, ricorda. Poi ci sono entrato anch’io, dopo aver studiato al Nautico». Furono proprio quegli studi marinareschi che gli valsero il soprannome di “capitano” presso i suoi colleghi: «Con gli anni sono diventato prima capoturno e poi caporeparto. Quand’ero capoturno in fonderia ho visto quanto duro fosse il lavoro degli operai, ma anche quanta solidarietà ci fosse». Bianchini ricorda un lavoratore di Belluno «che aveva lavorato vent’anni in cava e poi era arrivato in fonderia»: «Lui aveva quasi sessant’anni e io trenta. A volte montava il turno di notte e non arrivava del tutto lucido. Chiedevo ai suoi colleghi cosa dovessi farne e loro rispondevano “lascialo tranquillo, il suo lavoro lo facciamo noi”». Secondo Bianchini quel mondo fa parte anche del futuro: «Si parla di chiudere l’area a caldo, ma io spero che la amplino. Arvedi ha le competenze per farlo in modo moderno e porterebbe molti posti di lavoro».
Il segretario di Fiom Marco Relli la vede così: «C’è un articolo del 1918 del Corriere della Sera, in cui si parla di Roma e si dice che non è una città industriale, a differenza di “Milano, Torino, Trieste”».
Era l’effetto della politica industriale austriaca: «La ferriera era parte di una filiera a quei tempi. Poi è stata marginalizzata come Trieste, ma comunque oggi resta l’unico impianto oltre a Taranto a circuito integrale, dove arriva minerale ed esce metallo». L’unica possibilità per il futuro, aggiunge, «è modernizzare radicalmente gli impianti, che ora sono quelli degli anni Sessanta».
Alda Sancin del comitato No Smog, tra le anime storiche dell’opposizione all’area a caldo, commenta: «Centoventi anni spiegano molto. L’impianto è nato per fare “quattro secchi” di ghisa e lentamente si è allargato. Mentre nel frattempo lo faceva anche l’antichissimo abitato di Servola».
Prosegue: «Nella mia infanzia l’impatto era diverso. C’era un po’ di polvere, puzza di zolfo, ma niente di paragonabile agli effetti della produzione di oggi. Una volta i ragazzi passavano sotto alla ferrovia e andavano al “bagno della Ferriera”. Oggi è inimmaginabile». Conclude: «Una cokeria a cento metri dalle case nel 2018 è impensabile, l’impianto continua a operare come una volta: il sistema altoforno-cokeria è un’idea dell’Ottocento. Anche nei paesi in via di sviluppo si è capito che la ghisa si può fare diversamente. Ma nella città della scienza, la scienza si ferma ai Campi Elisi».
Aggiunge Giorgio Cecco di FareAmbiente: «In tanti a Trieste hanno vissuto di Ferriera. Mio padre ci lavorava dagli anni Sessanta».
Ora, però, il mondo è cambiato: «I lavoratori non sono più 1400, e penso che quelli rimasti meriterebbero un’alternativa di lavoro più salubre. Anche perché l’area a caldo, ormai, necessiterebbe di investimenti troppo ingenti. Meglio sarebbe puntare sul laminatoio e sugli sviluppi portuali. Sarebbe bello fare una lotta unitaria, lavoratori e cittadini, per uno sviluppo sostenibile».
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