«I bengalesi volevano la paga globale»

Imprenditore in subappalto della Sait ribalta le tesi dell’accusa. L’ex caposquadra di Sea Work: rapporti cordiali con gli operai
Di Laura Borsani
Bonaventura Monfalcone-11.03.2014 Operazione caporalato Fincantieri-Carabinieri-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-11.03.2014 Operazione caporalato Fincantieri-Carabinieri-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura

«Erano i lavoratori bengalesi a richiedere la paga globale». È questo il tenore delle deposizioni fornite, durante l’ultima udienza, al Tribunale di Gorizia, nell’ex sala Assise, da uno dei due testi presentati dalla difesa di Pasquale Commentale, imputato assieme al fratello Giuseppe e al padre Angelo, nell’ambito del processo sul caporalato nell’appalto di Fincantieri, in relazione allo sfruttamento professionale ai danni dei cittadini bengalesi. Nel procedimento sono coinvolti, a fronte dell’imputazione di associazione per delinquere ed estorsione aggravata, anche gli operai Amin Ruhul e Alessandro Rispoli, nonchè Ada De Simone, moglie di Angelo Commentale, e Miah Kabir, 43 anni, quest’ultimo in relazione alla sola accusa di estorsione. Si sono costituiti parte civile 16 bengalesi, assieme alla Fiom Cgil.

Dunque, la difesa di Pasquale Commentale, rappresentata dall’avvocato Paolo Marchiori, attraverso le dichiarazioni espresse in aula dai due dei quattro testimoni citati a giudizio, ha di fatto ribaltato l’ipotesi accusatoria, chiamando in causa da un lato una «volontà esplicita» da parte degli operai immigrati nell’ambito della definizione delle condizioni salariali e dall’altro negando situazioni di sfruttamento lavorativo. Davanti al Collegio giudicante, presieduto da Francesca Clocchiatti (a latere Nicola Russo, prossimo al trasferimento, e Gianfranco Roze) e al pubblico ministero Laura Collino, hanno reso conto della propria versione dei fatti un imprenditore operante in subappalto della Sait, nonchè un dipendente della Sea Work, impresa Commentale, che all’epoca dei fatti rivestiva il ruolo di caposquadra.

Sono così emersi aspetti tesi ad avvalorare un clima professionale nell’ambito del sistema dell’appalto tutt’altro che impositivo o minatorio. L’imprenditore s’è soffermato sulle dinamiche interne di alcune ditte che fornivano la stessa lavorazione di coibentazione nel cantiere navale. Ha riferito che «i pagamenti della Sait erano piuttosto risicati» e inoltre che «la Sait, per effettuare il pagamento entro il 15 del mese, si tratteneva il 2% dell’importo di fattura». Ha poi spiegato di aver avuto alle dipendenze «maestranze provenienti dalla manovalanza dei Commentale». In sostanza, ha spiegato l’imprenditore, «gli operai tendevano a spostarsi da un’impresa all’altra, in cerca di condizioni economiche migliori». E «tutti volevano la paga globale». Il teste ha sostenuto di «non aver mai notato alcun operaio lamentarsi», escludendo «minacce o altri comportamenti vessatori».

Il caposquadra della Sea Work, da parte sua, ha parlato di «rapporti cordiali» non solo con i bengalesi, ma anche con gli altri operai stranieri alle dipendenze.

La prossima udienza è stata fissata per giovedì 16 aprile, durante la quale è prevista la discussione da parte del Pm Collino, nonchè dei legali delle parti civili e dell’avvocato Massimo Bergamasco. Il Collegio giudicante ha stabilito un’ulteriore udienza, il 7 maggio, per la discussione di tutti gli altri legali delle difese. In quella sede potrebbe anche scaturire la sentenza. L’avvocato Marchiori ha osservato: «Il Collegio giudicante non ha ritenuto più utili le desposizioni degli altri miei due testi ai fini dell’istruttoria. Come ho fatto presente in aula, ritengo, comunque, piuttosto ravvicinate le udienze fissate per le discussioni delle parti, poichè non sarà certamente facile poter ricevere per tempo copia integrale del fascicolo del dibattimento».

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