I due sub morti a Miramare: «Malfunzionamento ed errori»

di Claudio Erné
Un malfunzionamento congiunto a una nutrita serie di piccole dimenticanze e imprecisioni.
È questo in estrema sintesi il giudizio dei tecnici del Comando incursori subacquei della Marina Militare su uno dei due autorespiratori a ciclo semichiuso usati a Miramare da Samo Alajbegovic e Ziga Dobraic, i due sub istriani morti nell’immersione. Era il 25 luglio dello scorso anno e la consulenza tecnica del Raggruppamento “Teseo Tesei” costituisce il primo basilare punto fermo dell’inchiesta avviata dal pm Lucia Baldovin.
Tre sono gli indagati per omicidio colposo: Nicola Donda, titolare della ditta HBT, costruttrice dei due autorespiratori e Fabio Bozzato e Roberto Bendotti, gli istruttori bergamaschi della società Nuet che in quel tragico giorno di luglio sovraintendevano alle immersioni a Miramare. Tra i due autorespiratori a ciclo semichiuso le analisi tecniche e le prove di laboratorio hanno rivelato che l’apparecchio usato da Ziga Dobrajc non era efficiente al cento per cento.
Ecco cosa si legge nella consulenza per la Procura. «Non è possibile stabilire se l’autorespiratore sia stato sottoposto al programma di manutenzione previsto dal manuale d’uso e manutenzione. Nondimeno, al momento dell’inizio dell’immersione, si ritiene che l’autorespiratore non fosse efficiente perché l’innesto rapido della frusta flessibile di alimentazione del flusso della miscela respiratoria, non era correttamente installato. Questa condizione ha avuto conseguenze dirette sugli eventi. Inoltre la bombola utilizzata non aveva subito la prescritta revisione periodica».
Ma non basta. «Sono stati trovati 500 centimetri cubi d’acqua all’interno dell’anello respiratorio. Si ritiene che l’ingresso d’acqua sia avvenuto quando si è staccata la frusta di invio del flusso. Si ritiene che la frusta si sia staccata a causa di un incompleto inserimento dell’innesto rapido». Dunque un errore umano, non una tragica fatalità.
In altri termini Ziga Dobrajc ha consumato l’ossigeno della miscela respiratoria che gli veniva fornita dall’apparecchio senza accorgersi dell’assenza di immissione di flusso. La percentuale di ossigeno della miscela è progressivamente calata perché mancava il collegamento tra il gruppo dosatore e la capsula filtro. E lui è andato in ipossia, ha perso i sensi ed è rimasto esanime sul fondo a brevissima distanza di tempo dall’inizio dell’immersione.
Fin qui il primo incidente. Anche il “rebreather” HBT usato da Samo Alajbegovic, l’altro sub morto a Miramare, secondo i tecnici della Marina Militare, non era in perfetto stato di manutenzione.
«Abbiamo rilevato un avvitamento insufficiente del nippo dell’attacco del primo stadio al corpo principale del riduttore di pressione; abbiamo trovato una guarnizione o-ring deformata e intaccata. Si ritiene che questa perdita abbia inciso in maniera contenuta sul consumo di miscela respiratoria e quindi sull’autonomia dell’autorespiratore».
I tecnici puntano però il dito sulla «riscontrata alterazione della respirazione» e la attribuiscono all’allagamento dell’autorespiratore e del materiale assorbente, la cosiddetta calce sodata. Poi aggiungono che «il rischio insito in questo tipo di autorespiratori è rappresentato da una drastica diminuzione di autonomia, della quale, in assenza di costanti e frequenti consultazioni degli strumenti di controllo - in primis il manometro- il subacqueo non è avvertito. Il volume corrente di respirazione può essere soddisfatto anche in assenza di rifornimento dalla bombola con l’instaurarsi di una miscela ipossica. Con troppo poco ossigeno. In tale evenienza si manifesta una perdita di coscienza senza alcun sintomo premonitore».
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