I palazzinari alla conquista dell’ultima collina. Belgrado e Sarajevo rischiano così la siccità

Cementificazione selvaggia a favore dei tycoon molto vicini al potere politico 
Rendering al computer del progetto al Makisko polje di Belgrado
Rendering al computer del progetto al Makisko polje di Belgrado

BELGRADO Le mani dei palazzinari su colline e campagne che circondano la metropoli, ultime oasi naturali in un mare di cemento. E le città, già soffocate da troppe nuove costruzioni, rischiano di rimanere senz’acqua potabile. È lo scenario che incombe su due fra le più importanti capitali balcaniche, Belgrado e Sarajevo, che in tempi non lontani potrebbero ritrovarsi coi rubinetti a secco.

Lo sostengono, nel caso di Belgrado, esperti, ricercatori e membri della società civile, che si sono mobilitati per contrastarei progetti edilizi e di sviluppo nel cosiddetto “Makisko polje”, una enorme area verde vitale per l’approvvigionamento idrico di una città che oggi conta più di due milioni di abitanti. Area, ha deciso l’assemblea comunale di Belgrado a fine dicembre, che sarà interessata in futuro da imponenti progetti edilizi e di mobilità. In particolare, dove oggi ci sono solo prati, campi, isolate casupole e qualche capannone, sorgerà il deposito della futura metro di Belgrado e a ridosso un nuovo insediamento abitativo, dietro cui ci sarebbero affaristi senza scrupoli, controversi tycoon.

Il Partito progressista di Vučić si muove «a favore di Karić», il Berlusconi serbo e «mette a rischio l’acqua potabile di Belgrado», ha puntato il dito il Partito democratico. Ma ci sono anche fior fior di esperti, dimostranti scesi in piazza contro i piani delle autorità e Ong autorevoli a pensarla allo stesso modo, sostenendo che il radicale cambiamento della conformazione della zona sicuramente avrà un impatto negativo sull’ambiente e soprattutto sulle falde acquifere. Le autorità al potere a Belgrado, allineate col governo nazionale e col presidente Vučić, negano però ogni rischio. Ma che qualcosa non torni è confermato da altre notizie, come quella che Belgrado voglia cercare di “estrarre” acqua potabile dalla Grande isola della guerra, un isolotto incontaminato che da sempre fa parte del panorama della città, alla confluenza del Danubio con la Sava.

Forse per creare una riserva preziosa per riparare i guasti derivanti dal progetto Makisko polje. Ma non è solo Belgrado a temere per le proprie acque. Anche a Sarajevo, che già negli anni scorsi ha registrato problemi nelle forniture idriche a causa della cattiva gestione degli acquedotti, crescono preoccupazioni simili. Lo ha svelato in questi giorni il portale InfoRadar, che in un lungo articolo – che ha avuto forte eco nella regione - ha denunciato che l’edificazione selvaggia che ha interessato negli ultimi anni l’area montagnosa che racchiude il centro sciistico di Bjelasnica, vicinissimo alla capitale, con costruzioni spesso prive di scarichi fognari efficienti, starebbe ormai mettendo a rischio falde e torrenti, incluse le sorgenti cui attinge Sarajevo per dissetare i suoi abitanti.

«La progressione con cui si costruisce nell’area fa pensare che presto a Sarajevo si dovrà passare all’acqua in bottiglia», ha sostenuto il portale, affermando inoltre che dietro molte costruzioni ci sarebbero gli appetiti di politici di punta. E forse non solo a Sarajevo. —

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