I serbi di Trieste si tuffano nel rito della croce In centinaia a San Spiridione per l’altra Epifania

Coinvolti gli slavi ortodossi, i fratelli greci e gli «amici italiani». Una decina in mare per il recupero del simbolo sacro: è la prima volta per la comunità 
Foto BRUNI 19.01.2019 Epifania Serbo-ortodossa
Foto BRUNI 19.01.2019 Epifania Serbo-ortodossa

la storia



C’erano anziane signore con le teste avvolte negli scialli. Famiglie con bambini. Donne e uomini di ogni età. Non solo serbi, ma anche moldavi, ucraini, russi, bulgari, macedoni e altri fedeli di rito ortodosso, le cui Chiese (che nella cristianità orientale sono perlopiù autocefale) a Trieste non dispongono di uno spazio fisico di culto. Con loro pure i greci triestini, che in città un tempio ce l’hanno eppure erano lì lo stesso, e gli «amici italiani» – così li ha definiti il pope Raško Radovic – del gruppo ecumenico di preghiera. Di primo mattino in centinaia hanno varcato l’ingresso di San Spiridione, la chiesa della Comunità serbo-ortodossa cittadina, per partecipare all’Epifania che, secondo il calendario giuliano, ricorreva ieri. All’interno dell’edificio, nella penombra dorata dal riverbero delle fiamme dei ceri sull’iconostasi, padre Radovic ha officiato il complesso rituale assieme all’archimandrita Gregorio Miliaris: segno di amicizia tra le comunità, dal momento che quella greco-orientale ha già celebrato la ricorrenza un paio di settimane fa. C’era chi si segnava. Chi baciava le icone esposte al centro del tempio. Chi scattava una fotografia. Un viavai continuo di persone, intanto, si spostava dalla navata centrale alla sala per l’accensione delle candele. Di color giallo scuro, ardevano a decine nelle apposite vasche, con il fondo ricoperto d’acqua e di ghiaia.

«Abbiamo svolto la liturgia di San Giovanni Crisostomo, che si celebra più volte durante l’anno liturgico, così come quella di San Basilio il Grande – ha spiegato in un secondo momento Radovic –. Entrambe toccano temi dedicati all’Epifania, ovvero al battesimo nel fiume Giordano di Gesù Cristo che, entrandovi, ha benedetto la natura delle acque e indicato il sacramento d’ingresso alla vita eterna. Ecco perché oggi (ieri, ndr) si effettua anche la benedizione delle acque, che poi le persone si riportano a casa e bevono durante il corso dell’anno». E il motivo dell’acqua è ritornato anche poco dopo, sulle rive. Conclusa la messa, il gruppo ha infatti raggiunto in massa il molo Audace, per assistere al rituale tuffo epifanico: il parroco ha lanciato in mare una croce legata a una corona di fiori e, immediatamente, una decina di donne e di uomini in costume da bagno si sono gettati nei gelidi flutti a ripescarla, per poi riemergere tra gli applausi degli spettatori. Ai presenti si erano nel frattempo aggiunti, mossi da curiosità, diversi triestini e triestine di altri credo. Se il tuffo epifanico dei greci è ormai tradizionale, per gli slavi ortodossi è stata la prima volta a memoria d’uomo, perlomeno qui. Diversamente stanno le cose in Serbia. «Il tuffo rituale è diffuso ovunque – ha proseguito Radovic – e negli ultimi tempi sta prendendo ancora più piede. Il mare non c’è e quindi ci si getta nella Sava, nel Danubio, quello del libro di Claudio Magris. Ma anche nei laghi, nei ruscelli, nelle fonti: ovunque ci sia acqua. La bellezza del rito è che in esso la natura viene trasfigurata». —



Riproduzione riservata © Il Piccolo