Il bar “Elvi” festeggia oggi i suoi primi sessant’anni



Al giorno d’oggi, forse, il nome del locale non dice nulla a molti giovani goriziani. Eppure un tempo il bar Elvi, alla fine di via Boccaccio, era uno dei più frequentati della città, grazie alla sua collocazione in una zona nella quale pulsava in modo addirittura frenetico il vecchio cuore commerciale di Gorizia. Oggi l’attività compirà i 60 anni di vita e Massimo, il titolare, festeggerà la ricorrenza offrendo caffè e pasticcini a tutti i clienti.

Ha una storia simpatica questo bar dall’atmosfera vintage, cristallizzata negli anni 70, «davanti al quale, una volta – ricorda il proprietario – le auto parcheggiavano al mattino in doppia fila, e una vera folla si tuffava nelle botteghe del vicino mercato all’ingrosso per rifornirsi di frutta e verdura».

Ad aprirlo, appunto il 3 agosto 1959, fu la mamma di Massimo, Lorenza Trevisan, all’epoca appena diciottenne, forte di un apprendistato svolto nel mitico bar Tricorno di corso Italia. Curiosa la location: nell’edificio, prima del bar, sorgeva il magazzino della ditta Culot, che in un fabbricato di fronte lavorava le ciliegie da spedire in Austria. Ma il nome “Elvi” da dove deriva? «Mia madre, scomparsa tre anni fa – spiega l’attuale proprietario – a 3 anni si ammalò ai polmoni e venne mandata a respirare aria buona da degli zii che abitavano al Passo della Futa, sull’Appennino tosco-emiliano. Lo zio aveva una nonna che si chiamava Elvira, e cominciò a chiamare la mamma Elviretta, Elvi... così nacquero questo vezzeggiativo e l’insegna del bar».

A dare una mano alla giovanissima Lorenza, dietro il bancone e ai tavolini, c’erano all’inizio la mamma Natalina e il fratello Vittorio, che giocava al calcio nel Lanerossi Vicenza e poi nella Pro Gorizia.

«Nei miei ricordi – sospira Massimo – c’è un andirivieni di persone che, soprattutto nei fine settimana, sostavano qui per una pausa ristoratrice dopo essersi recate ai mercati coperto e all’ingrosso. Senza dimenticare che a due passi c’erano la Motorizzazione civile, la Coldiretti, l’Artesac. Anch’io ho cominciato a lavorare nel bar a 18 anni, nel 1986. Il declino della zona ha avuto inizio nei primi anni del 2000, con la progressiva chiusura di molti negozi e attività. Noi abbiamo resistito grazie ai clienti più affezionati, con la mamma che finché ha potuto mi ha aiutato nella conduzione del locale».

Ora, in questo bar testimone muto di un pezzo di storia goriziana, è difficile non riandare con la mente al passato, anche per quegli arredi old style in cui spiccano alcune statuine di Leone Gaier che ritraggono noti personaggi goriziani. Alle pareti, quadretti dello stesso Gaier, locandine della Torrefazione Mattioni (che da sempre rifornisce il locale) e una vecchia tabella con un «Estratto dei provvedimenti per combattere l’alcolismo».

Si respira un’aria d’altri tempi, capace di ammaliare: «Un architetto milanese – racconta Massimo – venuto a Gorizia per Gusti di frontiera, è entrato qui e ha scattato un’infinità di fotografie...». C’è ancora lo spazio per qualche soddisfazione di questo tipo, e la nostalgia non guasterà la festa di oggi. —



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