Il caldo sveglia le api ma Coldiretti teme il ritorno del freddo

L’allarme della sigla: «Un colpo di coda del gelo metterebbe a rischio gli alveari» 

IL CASO



Le api sono insetti estremamente sensibili sia ai cambiamenti climatici che all’attività dell’uomo. E le temperature sopra la norma di questi mesi quasi primaverili (1,65 gradi in più rispetto alla media storica quest’inverno) hanno svegliato con un mese di anticipo gli insetti presenti sul territorio. È l’allarme lanciato dalla Coldiretti nazionale: è un risveglio pericoloso, avverte la sigla, perché in caso di colpo di coda dell’inverno potrebbero morire gran parte delle api. Si tratterebbe di un colpo non indifferente per il settore, già colpito da quanto accaduto nel 2019, una delle peggiori annate per la produzione di miele in tutta Italia.

«Finora molto difficilmente la temperatura notturna è scesa sottozero – spiega Pietro Lombardo, vicepresidente degli apicoltori della provincia di Gorizia – e le temperature sopra la norma hanno fatto sì che le api continuassero a “metter covata”, che da un lato è un sintomo positivo considerando la costante moria di api che caratterizza il pianeta, ma dall’altra è una situazione estremamente pericolosa perché c’è il rischio, con un eventuale ritorno di freddo, di perdere parte delle covate». In provincia di Gorizia sono presenti quasi 200 apicoltori che gestiscono circa 4 mila alveari. In quella di Trieste, invece, un centinaio di apicoltori lavorano tra i mille e i 1.200 alveari circa. «Si tratta in prevalenza di hobbisti – sottolinea Lombardo – che hanno una disponibilità limitata di alveari. Sono pochi, infatti, quelli che operano in maniera professionale». Proprio a causa della forte connotazione hobbistica non è possibile stabilire con esattezza quale sia il fatturato del settore apistico. «Come Coldiretti non abbiamo mai eseguito un rilevamento capillare degli apicoltori nel territorio – prosegue Lombardo – proprio a causa del prevalente elemento hobbistico. Possiamo solo affermare che un alveare alle nostre latitudini ha una produzione media di 30/40 chili all’anno, ad eccezione di quelli del Carso che è più limitata, intorno ai 20/25 chili». Chi ha fatto dell’apicoltura un elemento indispensabile del proprio business è Ales Pernarcich di San Giovanni di Duino, già presidente degli apicoltori di Trieste. «Qui non siamo in più di 5 o 6 aziende che lavorano con le api – spiega – e possediamo fino a un massimo di cento arnie ad azienda. A queste però vanno aggiunti una grande quantità di altri apicoltori che, pur provenendo da altre zone della regione, depositano i propri alveari qui sul Carso». Un’usanza molto in voga in altri Paesi come la Slovenia, dove il settore dell’apicoltura è molto sviluppato. Conclude Coldiretti: «Un ritorno tardivo di freddo, quando ci sono le migliori fioriture a disposizione, come la marasca o l’acacia, limiterebbe giocoforza la produzione. Le api fanno centinaia di migliaia di “visite” ai fiori per portare a casa i loro 30/40 grammi di miele a insetto. Sono una specie di regolatore naturale dell’ecosistema. Oltre al rischio di una diminuzione della produzione del miele c’è anche quello legato all’agricoltura. Meno api ci sono, nel lungo periodo, significa anche meno frutta per l’essere umano». —

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