Il congedo di Padulano tra lacrime e brindisi

Il suo ultimo giorno di lavoro prima del pensionamento, il questore lo ha passato con i suoi uomini
Il saluto di commiato di Giuseppe Padulano (foto Bruni)
Il saluto di commiato di Giuseppe Padulano (foto Bruni)

Ieri è stato l’ultimo giorno da questore di Giuseppe Padulano. Da oggi sarà un normale cittadino, libero di passare le mattine al bar oppure sui campi di tennis o andare a sciare a Tarvisio dove ha una casa, senza l'assillo di riunioni sull'ordine pubblico, di incontri in Procura o di appuntamenti istituzionali. L’ultimo giorno in cui ha raccolto gli oggetti più cari e ha salutato i poliziotti di Trieste in una sorta di piccola festa tra amici.

Gli scatoloni in fila nel suo ufficio con dentro una vita di ricordi e di segreti di indagini. Fascicoli e rapporti. «Quarant’anni», dice commosso. Parla sommessamente guardando le pareti del suo ufficio al primo piano della questura dalle quali sono stati rimossi i quadri. Solo la scrivania è ancora piena zeppa degli oggetti di una vita. Il tavolo del salotto davanti alla scrivania è ancora occupato da un presepe, mai rimosso dopo Natale. E vicino restano da togliere alcuni oggetti. Intanto il telefono squilla ininterrottamente.

«Grazie, grazie degli auguri», risponde il questore con gli occhi lucidi. Dolorante per un terribile mal di schiena che lo ha praticamente immobilizzato in questi ultimi giorni. Spiega che a chiamare è stato Alessandro Marangoni, il vicecapo della Polizia. E intanto guarda i vecchi fascicoli impolverati che alcuni addetti stanno rimuovendo dai mobili. Sono ricordi non solo di vecchie indagini. Ma riguardano persone, collaboratori, amici, conoscenti.

Lettere ricevute e lettere spedite: «C’è una vita in queste carte. È tutta la mia storia a Trieste». Come due maschere di Pulcinella che hanno più di trent’anni, risalenti al periodo in cui Padulano era arrivato per la prima volta in città. Era un giovane commissario napoletano, fresco vincitore di un concorso. Quelle due maschere sono state il suo portafortuna. Lo hanno accompagnato in ogni suo incarico, in ogni sua tappa. Dal palazzo di Giustizia, come giovanissimo responsabile della pg, alla Mobile e poi fin dall’altra parte del mondo a Bogotà in Colombia quando per cinque anni ha lavorato, come ufficiale di collegamento, all’ambasciata italiana. Quelle maschere napoletane lo hanno accompagnato a Imperia, Udine e infine sono ritornate con lui a Trieste. Saranno gli ultimi oggetti che Padulano toglierà dalla parete del suo ufficio.

Con le due maschere di Pulcinella, Padulano rimuoverà, questa volta dalla scrivania, anche altri due oggetti particolarmente cari. Sono un angioletto di porcellana che ha sempre tenuto davanti a sè. E poi il portaritratti d’argento con la foto della sua famiglia. Anche questi sono piccoli oggetti che il questore ha sempre tenuto davanti a sè e che sono stati “testimoni” di decisioni ordinarie, a volte difficili e complesse ma soprattutto di moltissime vicende umane che ha dovuto affrontare. Storie di gente arrestata, di vittime ma anche di poliziotti.

«La mia vita è Trieste». Lo ha sempre detto Padulano che quarant’anni fa si è innamorato a prima vista delle suggestioni di questa città tanto simile e comunque tanto diversa da Napoli, dove è nato e dove ha studiato. Si è innamorato a tal punto da non lasciarla più. Sposandosi a San Giusto e poi mettendo su casa infischiandosene delle conseguenze e dei disagi per i traferimenti.

Ha lavorato sempre, fino all’ultimo giorno. Quando attorno a mezzogiorno ha salutato i poliziotti e qualche amico nell’atrio della Questura, non riusciva neanche a parlare. La voce si è spenta in gola. Ha abbracciato il vicario Paolo Gropuzzo e ha pianto.

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