Il “cortocircuito” dei test eseguiti in centri privati e non accolti dal pubblico

TRIESTE. Sette familiari segregati in casa da una settimana in attesa che Asugi indichi loro come comportarsi, dopo che uno dei componenti è risultato positivo. Quella di Erica, una mamma triestina, è una situazione comune a tante persone alle prese in questi giorni con le criticità di un sistema sanitario messo pesantemente sotto pressione dall’emergenza Covid. L’escalation di positivi, il numero sempre più elevato di tamponi da processare e le difficoltà di monitorare in maniera efficace la rete di contatti di ogni singolo contatto finisce per creare evidenti cortocircuiti. Specie quando pubblico e privato finiscono per non dialogare.
Ecco quindi la storia di Erica. Lo scorso 23 ottobre il figlio, dopo un allenamento di calcio, avverte alcuni sintomi influenzali con 38.5° di febbre. Contattato, il medico di turno consiglia di monitorare la situazione nel fine settimana e, in assenza di peggioramento, di chiamare il lunedì mattina il medico di base. «Il medico di famiglia, a sua volta, – riferisce la donna – mi ha consigliato di sottoporre mio figlio ad un tampone in un laboratorio privato per velocizzare il processo».
Intanto, per precauzione, Erica decide di tenere a casa anche la figlia più piccola. Il ragazzo, ormai con 39° di febbre, si sottopone a tampone il 29 ottobre scorso, alla Salus di Trieste. Risultato: positivo. «Ho immediatamente inoltrato copia del referto alla scuola di mio figlio, alla mia dottoressa e, siccome mio marito iniziava a presentare anch’egli alcuni sintomi, al Dipartimento di Prevenzione».
E qui iniziano le sorprese. Perché il giorno successivo Erica viene contattata dalla scuola del figlio. «Il responsabile - spiega la mamma – mi ha informato che ad Asugi non risultava la positività di mio figlio e che il referto del suo tampone era stato definito “non rilevante” perché eseguito in una clinica privata». Di lì la scelta di contattare personalmente il nuovo servizio telefonico per informazioni di primo livello su Covid-19.
«Lì ho scoperto che, ad oggi, mio figlio non solo non rientra tra i casi positivi registrati, ma non verrà nemmeno mai contattato dall’Asugi per il tracciamento dei contatti dal momento che, ha riferito l’operatore, “intero iter è stato sbagli. Da allora tutta la mia famiglia è solata in casa in attesa a di ricevere informazioni su come comportarci, mentre tutti i compagni di classe e di calcio di mio figlio vanno in giro normalmente rischiando di esser stati contagiati e di contagiare a loro volta».
Possibile quindi che il tampone fatto in privato non valga per il pubblico? No, assicurano dalla Regione, visto che proprio la Regione ha autorizzato i laboratori privati accreditati – come è Salus – a processare i tamponi. «Ieri (lunedì, ndr) ne abbiamo processati 600, – riferisce Davide Gregori, direttore operativo di Policlinico Triestino Spa – e in media rileviamo una cinquantina di positivi al giorno. I risultati degli esami vengono inoltrati puntualmente ad Asugi che, in caso di positività, attiva e gestisce i controlli successivi di tracciamento».
Fatto sta che, come Erica, sono numerosi i cittadini rimasti a lungo in attesa prima di rivedere coordinate dal pubblico - e in qualche caso ancora senza risposte - dopo aver eseguito tamponi in laboratori privato. E la colpa, appunto, va attribuita non ad una falla del sistema ma alla mole di casi da analizzare.
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