Il documentario diventa poesia

Martina Parenti e Massimo D’Anolfi ospiti della rassegna con film e workshop
«Abbiamo iniziato a lavorare insieme innamorandoci»: una coppia così, unita nella vita e nell’arte, non si vede spesso nel panorama del cinema italiano. Martina Parenti e Massimo D’Anolfi hanno dieci anni di vita in comune, due figli e sei premiatissimi documentari girati insieme, con uno sguardo sulla realtà poetico e originale che li ha fatti amare nei maggiori festival internazionali, dal Festival di Locarno alla Mostra di Venezia. Adesso la coppia arriva a ShorTS per un omaggio che propone al pubblico tutti i loro titoli e due workshop: il primo alla Casa Circondariale del Coroneo, per i partecipanti al progetto Oltre al Muro, e il secondo aperto a tutti su due giornate, giovedì 6 e venerdì 7 luglio, alla Mediateca La Cappella Underground (per prenotare: mediateca@lacappellaunderground.org). Prima di iniziare a pensare i film a quattro mani lavoravano separatamente, Massimo anche insieme alla regista Roberta Torre. Dal 2006 hanno girato una sfilza di documentari eccezionali: “I promessi sposi”, percorso quasi tragicomico di coppie verso l’altare, tra corsi prematrimoniali in parrocchia e burocrazia, “Grandi speranze” sulla giovane imprenditoria rampante italiana, “Il castello”, nel quale hanno osservato per mesi l’aeroporto di Malpensa, crocevia dell’ossessione per la sicurezza e della paura post-11 settembre, “Materia oscura” sul blindatissimo Poligono Sperimentale del Salto di Quirra in Sardegna, dove per anni i governi di tutto il mondo hanno testato nuove armi a discapito del territorio e dei cittadini, “L’infinita fabbrica del Duomo”, sulla nascita e il continuo restauro del Duomo di Milano, e infine “Spira Mirabilis”, sinfonia visiva che omaggia in quattro storie agli angoli del mondo il lavoro dell’uomo e la tensione verso l’immortalità. Il loro cinema è il contrario del documentario d’inchiesta: indaga la realtà con un approccio poetico, ma attraversato da lampi di ironia, osservando con discrezione senza mai forzare gli eventi, lasciando libero lo spettatore di farsi un’idea propria delle vicende raccontate.


D’Anolfi e Parenti, come nasce il vostro approccio al documentario?


«Fin dall’inizio - rispondo i due cineasti - è stato chiaro che non volevamo fare reportage né film più “televisivi”. Esserci nutriti di film d’autore è stato un modello per trovare una strada personale. Per noi il cinema ha a che fare con il mistero e l’indecifrabile, non con la spiegazione, lo spettatore deve poterci cascare dentro, immergersi. I nostri sono film che provano ad avere un rapporto più profondo e più coinvolgente con la realtà».


Come girate i vostri documentari?


«Ci muoviamo da soli: Massimo filma, Martina prede il suono. In questo siamo degli artigiani. La nostra chiave fondamentale è il tempo. Ci siamo sempre concessi tempi lunghi nelle inquadrature, nel montaggio, nella realizzazione».


Il vostro sguardo si è concentrato su argomenti diversissimi: come scegliete i vostri temi?


«Al centro c’è sempre il rapporto dell’uomo con le istituzioni, con il potere, con la burocrazia. I temi specifici vengono un po’ per caso, per quello che ci frulla in testa in quel momento. Un tratto ricorrente è la pluralità, la coralità, non solo di persone, ma anche degli elementi, come nel caso di “Materia oscura” dove il mare, il vento, anche i missili sono al pari con le persone. Sono film dove non c’è un eroe, ma il gesto si fa eroico nel quotidiano: in “Spira Mirabilis” raccontiamo persone che fanno bene il loro lavoro, che spesso è la loro vita».


Le persone reali che filmato appaiono molto naturali davanti alla macchina da presa. Come ci riuscite?


«Non costruiamo mai delle scenette: è una pratica brutta quella di prendere delle persone, non pagarle perché si riprendono le loro situazioni reali, e poi fargli fare scenette da pseudo attori. Cerchiamo di capire come filmare al meglio la situazione che raccontiamo, capendone le dinamiche. Non pieghiamo i gesti delle persone alla nostra idea, ma riprendiamo la vita che scorre in modo che restituisca il sentimento che ci ha spinto a fare il film. Se non è il momento giusto per filmare, aspettiamo. In “Materia oscura” il gesto del signor Melis che accudisce il vitellino nel finale non era pilotato, ma rientrava nella nostra idea di raccontare la resistenza di alcune persone in un posto devastato. La cosa più profonda di “Materia oscura”, per esempio, è che ogni persona che abbiamo filmato è legata al Poligono del Salto di Quirra per eventi luttuosi, c’è chi ha perso un figlio, chi un fratello, chi ha un tumore. Ma nel film non viene detto: la potenza di queste persone può essere restituita senza essere dichiarata».


Girate i film in maniera del tutto indipendente: è sostenibile dal punto di vista economico?


«Di questo campiamo, produttivamente ci sosteniamo, ed è un motivo di orgoglio e di piacere. Bisogna lavorare molto per avere poco. È una grande sfida che abbiamo lanciato a noi stessi, rifiutando anche lavori con stipendi più sicuri: dispiace che i film non siano distribuiti adeguatamente, ma grazie ai premi e alle vendite internazionali siamo riusciti ad avere altri introiti».


©RIPRODUZIONE RISERVATA


Riproduzione riservata © Il Piccolo