«Il gioco non è malattia», bufera su Rovatti

Contestato dal pubblico il filosofo nell’incontro con la “iena” Nadia Toffa sul tema della ludopatia
Bumbaca Gorizia 21_05_2016 èStoria 002 ALE Gioco d'azzardo Nadia Toffa © Fotografia di Pierluigi Bumbaca
Bumbaca Gorizia 21_05_2016 èStoria 002 ALE Gioco d'azzardo Nadia Toffa © Fotografia di Pierluigi Bumbaca

Scintille non da poco l'altra sera nel corso dell'incontro "Gioco d'azzardo tra passione e patologia" andato a èStoria. Le posizioni piuttosto differenti sul delicato tema della ludopatia da parte dei due ospiti, la giornalista delle Iene Nadia Toffa e il filosofo Pier Aldo Rovatti, hanno innescato infatti una serie di battibecchi accesi tra i due, con alcuni interventi da parte del pubblico altrettanto accalorati. La serata, moderata dalla giornalista Emanuela Masseria, è iniziata con l'intervento di Toffa, che nel suo libro "Quando il gioco si fa duro" ha raccontato gli effetti devastanti della dipendenza dal gioco d'azzardo: «Il problema non è l'esistenza in sé dei giochi, ma la diffusione 24 ore su 24 su larga scala e piattaforme diverse di quelli che non richiedono abilità ma solo fortuna: la moltiplicazione delle occasioni di gioco negli ultimi 10-15 anni, avallata dallo Stato che agevola questo fenomeno, ha conseguentemente moltiplicato anche il numero delle persone che si possano avvicinare al mondo dell'azzardo, con i conseguenti rischi. Sono sempre di più coloro che quindi possono entrarne a contatto rovinandosi la vita, e c'è chi per questo problema se l'è addirittura tolta: siamo di fronte ad una vera e propria malattia sociale». Una posizione di condanna netta, dunque, alla quale ha replicato con i suoi dubbi Rovatti: «Ho analizzato a fondo il tema del gioco, e non stigmatizzerei chi ha questa passione: non semplifichiamo l'argomento. E starei attento ad utilizzare la parola malattia su questo fenomeno». Una posizione che ha sollevato le critiche della Toffa («L'Oms stabilisce come la dipendenza dal gioco d'azzardo sia una patologia») e di alcune persone che hanno preso la parola dal pubblico, come una donna che ha raccontato la propria ex dipendenza dal gioco («andavo al casinò, perdevo tutto, tornavo a casa, prendevo altri soldi e li perdevo tutti ancora fino a quando non restavo senza un euro: come si dovrebbe chiamare questa piaga se non malattia?») e un medico che ha citato la propria esperienza professionale («seguo per lavoro chi soffre di ludopatia e ho visto persone morire a causa di questa patologia») alle quali Rovatti ha replicato stizzito: «Non possiamo seguire tutto quello che dice l'Oms. Il gioco fa parte da sempre della nostra cultura, non va condannato come tale. E rispondendo con una battuta, potrei dire allora che anche di incidenti stradali si muore».

Matteo Femia

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