Il libro su Pizzul tra storia personale calcio e televisione

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Bonaventura Monfalcone-25.05.2012 Presentazione libro su Bruno Pizzul-Biblioteca-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-25.05.2012 Presentazione libro su Bruno Pizzul-Biblioteca-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura

Non è solo la storia di uno dei più amati giornalisti sportivi italiani, ma anche un percorso nell’Italia del secondo Dopoguerra, perché certi aneddoti riportano alla situazione sociopolitica della natia Cormons, con le dinamiche di una terra di confine contesa, ma anche perché il suo lavoro si inserisce, come pagina di fondamentale importanza, nel cambiamento delle logiche della comunicazione del mezzo principale, la televisione. Con il filo conduttore, ovviamente, del calcio, la passione nazionale. Per questo il volume “Bruno Pizzul, una voce nazionale”, presentato giovedì sera alla biblioteca di Monfalcone come evento apripista della Festa dello Sport, merita di essere letto (e comprato, visto che i proventi andranno a favore dell’attività della Fondazione Borgonovo per la lotta alla Sla).

Nell’incontro di presentazione, moderato dal giornalista Marco Bisiach, le tematiche del libro sono state sviscerate dai due autori, il giornalista Matteo Femia e il sociologo Francesco Pira, con il contributo sempre spigliato e autoironico dello stesso Bruno Pizzul. Seduto a fianco di Pizzul, una delle figure maggiori del giornalismo sportivo italiano, Italo Cucci (che agli inizi della carriera, sullo “Stadio”, aveva raccontato l’epopea del Crda), che con il grande telecronista ha condiviso i viaggi al seguito della Nazionale e dei grandi club italiani.

«Non è stato facile avere il via libera da Bruno»,ha spiegato un sorridente Femia, che di Pizzul è concittadino «Ripensandoci avrei dovuto resistere di più, ne esco troppo bene», ha ribattuto Pizzul. Fortunatamente, non l’ha fatto, perché ci avrebbe privato di un racconto che scorre tutto d’un fiato partendo da Cormons, dove «il pallone di stracci lanciato in strada dal cappellano aveva funzione di equilibratore sociopolitico», per arrivare nei più grandi stadi del mondo a raccontare le gesta di 11 uomini in maglia azzurra. «Nel libro, Pizzul è una persona che racconta delle storie, e già questo basta per renderlo avvincente»,ha detto uno degli autori, Francesco Pira.

Storie che sono anche quelle del calcio di una volta, dove, come ha detto Pizzul, «le furbate c’erano, ma restavano nel contesto del calcio, e non erano contaminate dal business, che ora domina». Domina il business, dominano le tv, con i loro soldi e con le loro 20 telecamere a partita. La tv paga e il telecronista deve da una parte esaltare il prodotto per contratto, «la giocata più semplice diventa numero, invenzione, miracolo», dall’altra rincorrere le immagini lanciate da «registi che si credono Fellini», facendosi prendere dall’ansia di «non perdere i labiali dei giocatori».

La sintesi perfetta è quella di Italo Cucci: «Pizzul ha chiuso un’epoca. Carosio, Martellini, Pizzul. Poi, più nessuno, con un’alternanza che non ha lasciato il segno, perché nessuno è stato capace di sostituire Pizzul».

Michele Neri

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