Il locale “Miramar” a Shimono che resiste anche al coronavirus

la storia
Quell’angolo del Giappone dove l’aroma del caffè espresso rivaleggia con quella del tè verde e dove pizza e strudel sono i piatti culto da gustare soprattutto a pranzo. Succede al bar – ristorante “Miramar”, il locale da qualche anno avviato a Shimono, nei pressi di Nakatsugawa, dal triestino Federico Marolla, un trentasettenne stanco del suo percorso da perito industriale e deciso a reinventarsi sul piano lavorativo e sentimentale.
A portarlo in quel paesino nel cuore del Giappone è stato infatti innanzi tutto il cuore, il forte legame con Amako, docente di inglese, ragazza conosciuta durante un soggiorno in Inghilterra, frequentata poi in un viaggio in Africa e infine presa in moglie nel maggio del 2013 proprio nella patria della sposa, con tanto di rito Shinto, la cerimonia che per eccellenza coniuga i dettami di un simbolismo orientale espresso in gestualità, auspici e colori.
Quale futuro per una coppia formata da un triestino che sogna nuove frontiere e una professoressa giapponese? I due si danno da fare, scartano le mire di lavoro comune a Trieste e riapprodano in quel centro del Giappone noto per i sentieri naturalistici e per il retaggio dei villaggi postali situati lungo la via di Nakasendo, il tratto che connetteva Kyoto alla città di Edo, l’antica denominazione di Tokyo.
È qui che i due prendono in gestione un piccolo locale, lui lo battezza “Miramar” in ossequio alla sua terra e si trasforma in chef, lei trasferisce le sue competenze in un dopo – scuola serale ma al mattino supporta “Federico San” servendo tra i tavoli. Le rispettive famiglie approvano (vedi la benedizione di papà Michele, cultore di arti marziali) e le cose iniziano a funzionare, almeno prima del coronavirus.
Il menù infatti parla di pastasciutta e pizze ma anche di elementi che richiamano Trieste e profumano di caffè espresso o di strudel caldo. Insomma cucina casalinga “made in Italy”, qui diffusa tra inchini, libri e giochi da tavolo.
«Il locale mi ha dato entusiasmo, ha saputo insegnarmi molto – afferma Federico Marolla –. Le emergenze legate al coronavirus non obbligano a restare a casa ma resta una misura molto seguita dai giapponesi. Tuttavia il turismo e i locali ne risentono – aggiunge il triestino – noi ora siamo chiusi ma su prenotazione telefonica prepariamo diverse pietanze, che la gente viene poi a ritirare».
Federico Marolla si aggrappa ora alla virtù della pazienza nipponica, ripudia il “haraikiri” sociale e medita altre cifre triestine con cui verniciare il menù quando “Miramar” riaprirà i battenti.
Chissà come si dice “Jota” in giapponese? «Questa pausa mi aiuterà poi a ripartire con nuove proposte – conclude – una cosa è certa: ho nostalgia della famiglia ma amo esplorare nuove culture e voglio questa vita». —
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