Il pane doc resiste solo in quattro forni Sfida a market e concorrenza slovena

L’ultima a chiudere i battenti, in queste settimane, è stata quella di Piedimonte. Quartiere che ora ha salutato anche l’ultima delle sue panetterie, il panificio Bruno Marusic. Aveva raccolta da tempo ormai il testimone dello storico panificio Scorianz, un’istituzione all’ombra del monte Calvario ma non soltanto, ma ora a sua volta ha abbassato definitivamente la serranda.
Un colpo al cuore – oltre che una perdita in termine di servizio – per tanti residenti della zona, ma, in fondo, un qualcosa che non sorprende. Non più, a Gorizia e non solo, dove le piccole panetterie e soprattutto i forni ormai iniziano davvero a contarsi sulle dita di una mano, o poco più. Perché i tempi sono cambiati, si mangia in modo diverso, gli abitanti non sono più quelli di una volta e il nobile mestiere del fornaio sembra essere sempre più in declino, retaggio di un passato lontano. Sta di fatto che i numeri non mentono, e se fino all’inizio degli anni Ottanta in città c’erano la bellezza di 20 forni che producevano il pane (senza contare poi tutte le rivendite), uno di certo in ogni quartiere, e in molti casi diversi di più, oggi siamo precipitati a quota 4. Tanti sono i “superstiti” – come racconta non senza un pizzico di malinconia Marco Visintin, titolare della Pasticceria panificio Centrale e uno dei decani tra i fornai goriziani, che ha iniziato a lavorare nel mondo del pane oltre quarant’anni fa – che ancora oggi sfornano ogni mattina fumanti pagnotte realizzate con sapienza e sacrificio.
Oltre alla stessa Centrale di via Garibaldi, troviamo Il Fornaio a Sant’Anna, che fa capo alla storica famiglia Cozzutti, che dispone anche di alcune rivendite in città, il panificio Fregonese di Montesanto, che vende i suoi prodotti tra l’altro anche nel quartiere di Lucinico, e il forno Bensa, che ha sede in via Mazzini dove fin dall’inizio del Novecento operava uno storico fornaio. A questi quattro maestri del pane si rivolgono poi molti altri punti vendita, tra quelli sparsi in centro e periferia, anche se a farla da padrone, pure in questo caso, pare essere ormai la grande distribuzione. «Rispetto a quando ho iniziato è cambiato il mondo – dice Marco Visintin –, e oggi il 90% del pane viene venduto dai supermercati. In qualche caso i punti vendita si rivolgono ai forni locali, ma nella maggioranza acquistano altrove, in base ai contratti dei loro marchi, o sugli scaffali arrivano pagnotte precotte o surgelate».
C’è poi anche la concorrenza dei forni d’oltreconfine, visto che in Slovenia non si riforniscono solo molti cittadini, ma pure diversi punti vendita. «E il motivo è semplice – dice Visintin –: grazie a un costo del lavoro nettamente più basso e a tasse inferiori, i nostri colleghi sloveni possono vendere il pane quasi alla metà del prezzo». Non è inusuale, peraltro, vedere i furgoncini di note catene di panifici d’oltreconfine rifornire negozi e supermercati un po’in tutta la regione, non solo a Gorizia, arrivando persino in Veneto.
Questo però da solo non spiega, ovviamente, il calo delle vendite e la crisi del settore. «La verità è che sono cambiate tantissime cose – dice ancora Visintin –. A livello generale la gente ha modificato le abitudini, le diete e gli stili di vita. Si mangia molto meno pane rispetto al passato, si tendono a cucinare pietanze molto più veloci o piatti unici che non richiedono il classico accompagnamento con la pagnotta, e persino il numero dei pasti in casa, seduti a tavola tutti assieme, si è ridotto drasticamente. Questo incide. Poi, a livello locale, è evidente che il netto calo demografico gioca un ruolo importante: c’è meno richiesta, ci sono più persone anziane che tendono a mangiare meno rispetto ai giovani, e dunque in definitiva si produce e vende meno pane». Così si è arrivati ai soli quattro forni goriziani di oggi, che tutti assieme – stima Visintin, pur senza disporre di dati precisi – producono probabilmente tanto pane quanto ne usciva ogni mattina dal solo forno principale tra i 20 della Gorizia degli anni Settanta. Anche questo, un segno dei tempi. –
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