Il pm Frezza: «Non esiste un solo Unabomber»
Dalla richiesta di archiviazione per Zornitta (l’unico indagato), esce un quadro inedito sugli attentati nel Nordest

TRIESTE.
Non esiste un solo Unabomber. Al contrario, dietro questa sigla, coniata dai giornali, dovrebbero nascondersi più persone, più bombaroli. Tre, quattro, forse di più. Le esplosioni messe a segno o sventate nel Friuli Venezia Giulia e nel Veneto tra il 21 agosto 1994 e il 6 maggio 2006 sono ben 28 e non poco più di 10 come è stato sostenuto quasi all’unisono per anni e anni.
Sono questi alcuni dei motivi per cui il pm Federico Frezza ha chiesto al gip del Tribunale di Trieste Enzo Truncellito di archiviare l’inchiesta in cui è stato coinvolto dal 26 maggio 2004 l’ingegner Elvo Zornitta.
Per l’attentato del 26 gennaio 2005 nel centro di Treviso, Zornitta ha un alibi inossidabile e inattacabile. Verrebbe voglia di dire a prova di Unabomber. La sua uscita dalla maxi inchiesta è doverosa e opportuna non solo perché gli inquirenti ritengono da tempo che gli attentatori siano più di uno ma anche per una serie di altre considerazioni logico-investigative che il pm della Direzione distrettuale antimafia di Trieste ha inserito nel documento redatto in otto mesi di lavoro e depositato in Cancelleria il 30 dicembre scorso.
Nella richiesta di archiviazione tra l’altro si legge. «La logica indicherebbe che se in un attentato è stata usata la nitroglicerina, ma nei 20 precedenti no, la soluzione più semplice è che non si tratta del medesimo attentatore». Per supportare questa questa affermazione il magistrato cita il principio metodologico espresso nel 1300 dal filosofo e frate francescano William of Ockham: «A parità di fattori la spiegazione più semplice tende a essere quella esatta».
Nell’inchiesta su Unabomber vengono presi in esame i 28 attentati, la loro sequenza temporale e le caratteristiche che li accomunano o li diversificano. In sintesi gli scoppi realizzati o mancati vengono suddivisi in tre tronconi. Il primo si apre alla «Sagra dei osei» di Sacile il 21 agosto 1994. È il debutto dell’attentatore che per altre otto volte userà o tenterà di usare dei tubi esplosivi con polvere nera chiusi alle estremità da grossi dadi.
Questo primo periodo di attività si chiude a Lignano il 4 agosto 1996. Poi Unabomber si immerge per quattro anni. Scompare, sembra dissolto e di lui non si sente più parlare fino al marzo del 2000, quando a San Vito al Tagliamento vengono trovate ammassate e innescate una serie di stelle filanti. È il 6 marzo ed esattamente 120 giorni più tardi, il 6 luglio 2000 a Lignano esplode un altro tubo pieno di polvere nera.
«L’obiettività non indica affatto un unico attentatore. Esistono invece sottogruppi di attentati nell’ambito dei quali è plausibile supporre che l’attentatore fosse unico» si legge nella richiesta di archiviazione dell’indagine che ha coinvolto l’ingegner Elvo Zornitta. Vi sono quattro attentati in cui sono stati usati tubetti di selz, tre con le fialette PaneAngeli, quattro contro obiettivi religiosi.
«Ipotizzare un’unica mano dietro alcuni rudimentali tubi-bomba privi di nitroglicerina, abbandonati su una spiaggia o in una vigna e un vasetto di Nutella collocato in un supermercato due anni più tardi, è null’altro che un’opera d’intuizione creativa, indimostrata e indimostrabile. Non potrebbe mai bastare a motivare una sentenza di condanna».
Il secondo periodo di attività «esplosiva» si conclude nell’inchiesta della Dda il primo aprile 2004 a Portogruaro, quando all’interno di un inginocchiatoio della Chiesa di Sant’Agnese viene trovato inesplosa una fialetta PaneAngeli. L’innesco è elettrico e come annuncia l’allora procuratore capo di Trieste Nicola Maria Pace, l’esplosivo usato è la nitroglicerina. Qui inizia la storia del lamierino e della sua alterazione o manomissione. Doveva essere la prova definitiva che avrebbe incastrato attraverso il profilo della lama delle forbici l’ingegner Zornitta; si è rivelata un boomerang e getta sospetti pesantissimi sull’operato di un consulente tecnico, a tutt’oggi sotto processo davanti al Tribuanle di Venezia.
Va aggiunto che la nitroglicerina - al di là delle affermazioni degli inquirenti di allora che avevano ritardato l’annuncio della scoperta nelle bombe - era entrata in scena ormai da un anno. La prima «apparizione» risale infatti al 24 marzo 2003 quando un ordigno aveva squassato un bagno del Palazzo di giustizia di Pordenone.
Da 2003 in poi, secondo le analisi della Polizia scientifica e dei carabinieri del Ris di Parma, l’unico esplosivo usato da chi si nasconde dietro la sigla Unabomber, è la nitroglicerina. È questa la terza fase o il terzo capitolo degli attentati apertosi nel Tribunale di Pordenone e conclusasi il 6 maggio 2006 con lo scoppio di una bottiglia nel mare di Porto Santa Margherita di Caorle. È stata questa l’ultima apparizione in scena del bombarolo. A questa fase appartengono anche gli scoppi della scatoletta di tonno in un convento rumeno, l’esplosione di una candela elettrica a Motta di Livenza, l’ordigno nascosto sotto la sella di una bicicletta abbandonata a Portogruaro.
Di certo oggi è ancora formalmente aperta la quarta fase dell’inchiesta. Non sono infatti prevedibili i tempi necessari al giudice Enzo Truncellito per accogliere o respingere la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura. Il pm Federico Frezza non ha scritto molte pagine per spiegare la sua decisione ma i concetti espressi sono molti chiari. Non esite un solo Unabomber e lo stesso pool interforze di investigatori che aveva sede a Venezia ipotizzava più attentatori in base alle diverse modalità d’intervento. Esplosivi diversi, inneschi, talvolta semplici, poi col passare del tempo sofisticati. Diversità di obiettivi.
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