IL PROF E I DRONI CHE CI GUIDANO VERSO IL DOMANI

Vercelli (docente di robotica): «Strumenti utilissimi e con mille applicazioni, alcune già possibili oggi»
Di Rino Bucci

DALLA PRIMA DELL’INSERTO

di RINO BUCCI

A conferma dell'interesse verso i multirotori ci sono i numeri di un mercato che non conosce crisi: secondo un recente studio di Doxa in Italia i droni muovono un giro d’affari che sfiora i 350 milioni di euro e per il 2016 si ipotizza una crescita tra il 20 e il 30 per cento. A confortare è il fatto che questa nuova tecnologia sta iniziando a produrre occupazione con circa 500 aziende attive nel settore e fatturati medi da 700mila euro. In questo fermento non potevano mancare i corsi di formazione che sono arrivati fin dentro le aule universitarie. Tra le prime esperienze di questo genere c’è il progetto attivato dal Dibris (Dipartimento di informatica, bioingegneria, robotica e ingegneria dei sistemi) dell’università di Genova dove sono stati formati piloti specializzati nelle riprese aeree per la Protezione civile. Di questo percorso – e del futuro utilizzo dei droni – abbiamo parlato con Gianni Vercelli, professore di robotica all’università di Genova e componente del Dibris.

Professor Vercelli come è nato e quando si è intensificato l’utilizzo dei droni?

«I primi droni militari sono stai assemblati molti anni fa, negli anni Trenta del secolo scorso. Stiamo parlando di tecnologie analogiche e non certo digitali: erano apparecchi rudimentali, utilizzati come bersagli mobili. Ma il vero boom è iniziato alla fine degli anni Novanta quando la tecnologia militare ha permesso ai primi aerei senza pilota di volare in autonomia e a lungo. Va precisato che con il termine drone definiamo un robot telecomandato che può essere aereo ma anche muoversi in ambiente marino o terrestre. I robot volanti di cui parliamo e che dal 2010 sono diventati un fenomeno di mercato per tutte le tasche sono multirotori. Ma chiamiamoli pure droni, per comodità».

Da dove viene questo termine?

«In inglese con “drone“ si indica il fuco delle api: il ronzare delle sue ali si avvicina molto al rumore che produce un multirotore. Da qui, l’idea del nome».

Quali possono essere gli ambiti di utilizzo?

«I droni sono nati per il monitoraggio e le ispezioni video; basti pensare alle applicazione che hanno anche oggi negli scenari di guerra. Il fatto che il rotore possa montare una telecamera ha aiutat. o l’uomo garantendo visuali che non sarebbe mai stato possibile raggiungere. La ricerca non si ferma: di recente sono stati installati sui droni nuovi sensori, come telecamere a infrarossi o termiche, che possono essere utili in ambito agricolo».

In quale modo?

«Attraverso le telecamere termiche, per esempio, si può rilevare il grado di fioritura e arborescenza: l’agronomo può vedere quale parte di una coltivazione sia più o meno pronta per la raccolta. In senso lato, le applicazioni allo studio sono innumerevoli: sempre con le telecamere termiche si può controllare il grado di efficientemento energetico di una centrale, individuare problemi sui pannelli solari, analizzare i campi magnetici ma anche scandagliare infrastrutture come ponti o grattacieli».

In quale momento i droni sono diventati uno strumento alla portata di tutti?

«La tecnologia c’era. Il problema – che rimane ancora oggi – riguarda l’energia. Il passo decisivo per trasformare il drone in un oggetto di massa è stata la commercializzazione delle batterie a polimeri di litio. Stiamo parlando di un brevetto russo utilizzato in ambito militare. È diventato di dominio pubblico solo dopo la caduta del muro di Berlino; da quel momento è iniziata l’avventura dei droni. Il problema dell’autonomia, però, resta attuale perché i rotori, soprattutto di fascia bassa, possono rimanere in volo poco più di dieci minuti».

Quanto costa un drone?

«Ce ne sono per tutte le tasche. Si va da poche centinaia di euro per i modelli dedicati ai principianti e che si possono controllare con uno smartphone – a decine di migliaia di euro per i modelli professionali. Poi, ci sono i componenti aggiuntivi dalle telecamere ai sensori. I costi possono lievitare con estrema facilità».

In quali servizi potranno essere impiegati i droni nel prossimo futuro?

«Non so se nel 2025 ogni famiglia potrà avere un drone per trasportare un pacco o per scattare foto suggestive. Più realisticamente, penso che i multirotori verranno utilizzati per servizi all’utenza: in parte lo stiamo già facendo. In protezione civile saranno importanti perché oltre al monitoraggio potrebbero essere impiegati per trasporti urgenti, e penso a un defibrillatore, o rilevare i dispersi in zone impervie. Non a caso il trasporto di pacchi è l’obiettivo dichiarato di Amazon. Resta solo da rispondere a una domanda: come far volare il modo autonomo il robot? L’autonomia implica che il drone sia in grado di evitare ostacoli e prendere decisioni da solo. Già oggi, le tecnologie militari permettono al drone di essere autonomo ma l’arrivo nel mercato di massa è un altro discorso. Comunque ci arriveremo. Prendiamo ad esempio le auto: cento anni fa erano qualcosa di molto diverso rispetto a ciò che sono ora. Addirittura nel tempo è cambiato il concetto di auto e così sarà anche per i droni. A patto che riesca a trasportare pesi significativi, diciamo intorno ai cento chili».

Il boom nelle vendite ha già imposto all’Enac, l’ente che controlla i voli, una regolamentazione. Chi può pilotare un drone?

«Quando il drone è diventato uno strumento di massa è affiorato il problema della sicurezza, oltre a quello della privacy, e l’Ente nazionale per l’aviazione civile è dovuto correre ai ripari. L’ultima versione del regolamento Enac è entrata in vigore il 15 settembre scorso. In sostanza indica tre categorie di rotori; quelli sopra i 25 chili per cui serve una licenza identica a quella che ha in tasca un pilota civile, quelli tra i due e i 25 chili per cui serve un attestato di conduzione (un patentino, ndr) e quelli sotto i due chili. Passata questa soglia, il robot viene considerato inoffensivo per cose e persone. Probabilmente, nel prossimo aggiornamento saranno regolamentati anche i droni sotto i 300 grammi. La tecnologia sta correndo».

L’università di Genova è stata tra le prime a lavorare sui droni e formare piloti. Quali sono i vostri campi di studio?

«Stiamo cercando di capire come rendere autonomi i droni nella decisione del percorso. Inoltre, lavoriamo alla costruzione di squadre di droni che comunichino tra di loro. Dal punto di vista formativo, invece, nel 2014 abbiamo avviato un corso con la collaborazione dell’Associazione alpini che ha permesso di formare piloti esperti in monitoraggi di protezione civile. E tra due settimane ci occuperemo di formare piloti al campus di Savona con la Croce Rossa. In questo caso ci occuperemo di un altro tipo di impiego: il salvataggio delle persone».

Guardiamo avanti. In futuro quali tecnologie potrebbero essere applicate al drone?

«Per le riprese, il problema in questo momento è legato al peso. Già oggi si stanno registrando le prime esperienze con telecamere 4k (super altadefinizione) professionali e leggere. Ma i campi di applicazione per il drone sono innumerevoli e questa è la sua forza: già oggi si possono trasportare infrarossi, sistemi laser, e sistemi di comunicazioni. Mentre, il rotore del futuro sarà utilizzato per creare ponti radio volanti e hotspot. Sarà possibile farlo anche a lungo vincolandoli con un cavo, una specie di guinzaglio elettronico volante. Sul fronte dei trasporti, invece, la ricerca sta lavorando sulla cooperazione tra droni perché se un singolo rotore non può sollevare un peso magari in quattro ci riescono senza problemi. In questo caso si parla di sciami di droni, gruppi di robot che lavorano in collaborazione. Proprio come facevano gli automi nei libri di Isaac Asimov».

@RinoBucci

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