IL PROFESSORE CHE SPIEGA DAL COMPUTER

di ALBERTO VALVANI
Come si troverebbe un chirurgo dell’Ottocento in una sala operatoria attuale? Non capirebbe che cosa sono tutte quelle macchine che brillano e suonano e, vedendo il paziente anestetizzato, lo crederebbe morto. È questa l'immagine forte che il pedagogista americano Seymour Papert ha proposto per spiegare il megacambiamento che si sta preparando nella scuola tra com’è ora e come sarà tra venti-trent’anni.
Sì, un vero e proprio megacambiamento che non è facile immaginare. Come sarebbe stato impossibile – ma l’aggettivo probabilmente non rende bene la situazione – al chirurgo del 1812 immaginare la possibilità di vedere, riprodotti da macchine, gli organi interni reali del malato, prima di decidere che cosa fare.
Eppure come il medico oggi e allora deve salvare il paziente, così il maestro o il professore di oggi devono insegnare e formare giovani menti, esattamente come in passato. Siano menti di poveri sia di ricchi. I poveri e i ricchi, purtroppo, esisteranno sempre (è vero come gli intelligenti e gli stupidi) ma con la differenza che con la povertà e la ricchezza la natura c’entra meno e c'entra più la società.
E uno dei problemi che pone Papert è proprio questo: con Internet e computer i giovani ricchi apprenderanno più facilmente e il dislivello con chi non dispone di questi mezzi non diminuirà rispetto a oggi. Anzi aumenterà.
E il pedagogista risponde alle obiezioni dei sociologi solo sottolineando che i Paesi che se lo possono permettere devono semplicemente fare in modo che tutti, poveri e ricchi, abbiano un computer, e anche tra Paesi ricchi e poveri deve avvenire lo stesso con un problema planetario di ridistribuzione della ricchezza intellettuale che fa accapponare la pelle.
Del resto, anche nelle civiltà più povere si pretende che un bambino abbia un maestro che gli insegna perlomeno a leggere, scrivere e far di conto.
È bene dire, comunque, che gli insegnanti ci saranno e ci dovranno essere sempre. La Microsoft nel suo progetto di scuola del futuro ritiene che, anzi, del docente ci sarà più bisogno anche se con un ruolo diverso.
Non ci vuole molto a capire che ci deve essere qualcuno a esercitare la mediazione tra il mare di informazioni di Internet e il ragazzo.
Ancora nella nostra epoca storica e ancora forse per una ventina d’anni la cultura sarà nelle mani di persone nate in epoca predigitale che dovranno spiegare, per esempio, che su Internet non c’è ancora tutto (e probabilmente non ci sarà mai), che esistono fonti di diverso valore e di diversa affidabilità.
Ancora: che se non è detto che ciò che è stampato è sempre verità, questo vale anche per ciò che è reperibile su Internet. Anzi, le patacche sono dietro ogni angolo della Rete.
Gli integralisti del web ritengono che nella scuola del futuro non ci saranno banchi, muri ed edifici. Ma certo, secondo loro, ci sarà Internet. L'ex direttore del New York Times, Bill Keller ha scritto recentemente nel suo blog che «i corsi saranno online e saranno votati dagli allievi come i libri su Amazon».
Nell’università di Stanford l’anno scorso il corso di “Intelligenze artificiali” è stato seguito da 140mila persone, da tutto il. mondo, ma a casa propria. Importante, però, che ci sia la banda larga se no è un problema con i filmati. E questo è già un problema: che accade se non c’è?
Altra obiezione: se uno non capisce qualcosa che fa? «Rivede la lezione del docente su YouTube», rispondono gli integralisti del web.
Ebbene già in epoca predigitale i vecchi professori, forse per difendere il loro ruolo, ma giustamente, dicevano: «Se chiedi una spiegazione al libro, il libro non ti può rispondere. Io sì». Come nell’Ottocento e ora il malato può guarire o morire. E così lo studente imparare o no.
E poi, chi ci assicura che nessuno copi o faccia svolgere i compiti e le verifiche da un amico già istruito? I computer aiutano. Ma non risolvono il problema. Anche il contatto umano è un modo per imparare. Non sarà facile.
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