Il “record” di Gorizia: 87 ettari di attività dismesse

Equivalgono all’estensione di 124 campi di calcio o di due città del Vaticano Tanti buchi neri nella zona industriale. Il problema irrisolto delle ex caserme
Di Francesco Fain

È come se ci fossero 124 campi di calcio regolamentari di serie A completamente inutilizzati. Oppure due città del Vaticano, una accanto all’altra, lasciate nel più totale abbandono.

Assommano a 87 gli ettari di attività dismesse a Gorizia. Una cifra gigantesca che scaturisce dalla puntuale ricerca effettuata da Luisa Codellia e Antonello Cian e pubblicata sul bollettino del Pd “Gorizia Europa”. Nell’elenco non ci sono soltanto le sedi delle caserme non più funzionanti, che a Gorizia presentano una superficie di 24 ettari, pari a quasi il 28% di tutte le sedi di attività dismesse, ma anche le aree che erano destinate ad attività produttive e commerciali non più “in vita” e quelle per i servizi trasferiti in altre località e non più presenti in città. In totale le aree per attività dismesse esistenti nel Comune, escluso l’aeroporto Duca d’Aosta, misurano 87 ettari.

La prima osservazione è che lo Stato va... a pezzi. Ci riferiamo a palazzi e sedi goriziane lasciate al degrado e che vanno in disfacimento. Le caserme, in questo senso, sono in cima alla lista. «Questa tendenza ad un generale ridimensionamento soprattutto delle sedi decentrate di alcune sezioni dell’amministrazione statale e regionale, si sta verificando, oggi, in tutte le citta medio-piccole per un complesso di ragioni non solo demografiche (calo della popolazione), ma anche derivanti dalle nuove modalità di comunicazione (Internet) e dalla necessità di mettere in atto economie di scala - scrivono Codellia e Cian -. È inevitabile, quindi, che nei contesti urbani si ritrovino aree ed edifici dismessi, molto spesso di notevole dimensione e volumetria, destinati ad un processo di obsolescenza piu o meno celere».

«Si veda ad esempio a Gorizia il settore della città dove si concentravano le caserme (inizio via Trieste-tratto terminale di via Duca d’Aosta) e dove, in seguito alla presenza dei militari (che negli anni 30 dello scorso secolo avevano raggiunto le 4.000 unità), sono sorti a suo tempo diversi locali pubblici ed esercizi commerciali, oggi in gran parte chiusi. Da qualche decennio a Gorizia, invece, l’apertura delle nuove sedi universitarie in via Diaz, in via Alviano e più recentemente in via Santa Chiara, con la presenza dei circa 2.400 studenti del polo universitario goriziano, hanno creato un processo inverso a quello sopra descritto determinando nel settori della città più vicini alle sedi stesse una ripresa di attività ricettive e commerciali», la puntuale analisi dei due esperti. Nell’elenco delle superfici dismesse entrano ampie zone della zona industriale, le aree ospedaliere dismesse di via Vittorio Veneto, il compendio dell’ex cotonificio di Piedimonte.

Che fare per invertire la rotta? E recuperare il recuperabile? Codellia e Cian ammettono che «da parte dell’amministrazione comunale è alquanto problematico poter programmare gli interventi: in molti casi non si può che navigare a vista. Infatti, se individuare le aree e gli immobili dismessi all’interno dell’aggregato urbano e nelle immediate adiacenze (determinando per ciascuno le specifiche peculiarità, i requisiti e le caratteristiche) rappresenta un’operazione che normalmente viene svolta nell’ambito delle analisi urbanistiche che precedono la stesura di piani urbanistici comunali, intendere quali di queste aree o di questi immobili, e con quali nuove funzioni, possano rappresentare un volano per la riqualificazione urbana del contesto, è una scelta molto complessa nella quale le variabili in campo sono molte».

«Si dovrebbe procedere per esclusione: rifiutando nuove funzioni o tipologie insediative che risultino incompatibili dal punto di vista urbanistico con il contesto, ma lasciando aperte alcune possibilità da sottoporre ad un procedura di verifica al momento in cui si dovessero concretizzare, nell’ambito di specifiche conferenze di servizio, alle quali possano partecipare i cittadini ed i rappresentanti delle categorie economiche interessate, oltre gli enti preposti».

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