Il ritorno di Trieste all’Italia e quelle truppe schierate su tutto il confine

La tensione alle stelle dell’agosto 1952 fra il governo Pella e Tito. E a inizio ottobre 1954 la formazione del Raggruppamento Trieste

Pietro Comelli
Lo scatto di Attilio Leonardi, colto all'angolo di piazza Unità, testimonia lo slancio con cui i triestini accolsero i bersaglieri che venivano portati in centro sui camion per prepararsi alla sfilata sulle Rive
Lo scatto di Attilio Leonardi, colto all'angolo di piazza Unità, testimonia lo slancio con cui i triestini accolsero i bersaglieri che venivano portati in centro sui camion per prepararsi alla sfilata sulle Rive

L’ingresso delle truppe italiane il 26 ottobre 1954 non fu una semplice sfilata. Certo, arrivarono i bersaglieri accolti dalla folla in festa. Ma al confine vennero mobilitate, nel biennio, le truppe speciali e richiamati 13 mila militari in congedo, a garanzia di un’operazione molto delicata: il passaggio dal governo angloamericano a quello italiano. A ricostruire la preparazione dell’entrata delle forze armate italiane, nel corso del convegno Duino1954, è stata la relazione del generale Lorenzo Cadeddu, illustrata da Mauro Depetroni del Centro studi associazione nazionale Alpini. Una pagina anche qui poco conosciuta ma significativa.

Nell’agosto del 1952, infatti, la tensione era alle stelle con la ferma posizione del governo Pella e la dura reazione del maresciallo Tito, pronto a inviare le truppe jugoslave nella contesa Zona A. Immediatamente venne intensificata l’attività informativa in corrispondenza della frontiera e, da parte italiana, venne spostato da Palmanova sul Carso triestino il 4° Reggimento di Cavalleria blindata Genova.

Contestualmente venne studiato e preparato un piano per l’occupazione di sorpresa della Zona A, presidiata dalle truppe alleate. L’operazione per l’occupazione di Trieste venne convenzionalmente chiamata “Delta” e affidata al Comando del V Corpo d’Armata, che si sarebbe dovuto avvalere di forze diverse da quelle impiegate per il normale presidio della frontiera orientale.

Il Comando del V Corpo d’Armata disponeva, ad esempio, delle divisioni di fanteria “Mantova” e “Folgore”, della divisione corazzata “Ariete”, delle brigate alpine “Julia” e “Cadore”, e i supporti dei reggimenti di cavalleria “Genova” e “Novara” e tre battaglioni pionieri d’arresto... Non solo, per l’operazione “Delta” avrebbe ricevuto in rinforzo le divisioni di fanteria leggera “Trieste” e “Cremona”, le brigate alpine “Tridentina” e “Taurinense”, oltre a reparti quali il battaglione “San Marco” e il battaglione lagunare “Marghera”. E un’unità di formazione di 300 paracadutisti.

Il generale Cadeddu ricorda come, allentandosi la tensione, il 14 settembre il governo ordinò la graduale smilitarizzazione della frontiera. Solo il 4° “Genova Cavalleria” venne tenuto in posizione avanzata a ridosso di Monfalcone. Ma il 16 ottobre, a seguito di una nota bilaterale angloamericana che confermava la legittimità dei diritti italiani sulla Zona A, la tensione tra Italia e Jugoslavia tornò a salire e raggiunse l’apice. Il ministro della Difesa ordinò così la mobilitazione al confine di tutte le forze disponibili e di provvedere al richiamo di 13 mila militari degli scaglioni in congedo da impiegare con le forze di copertura.

«Il comandante del V Corpo d’Armata, dopo aver valutato che l’Esercito jugoslavo possedeva una capacità operativa limitata nel tempo e nello spazio e, al massimo, avrebbe potuto tentare limitati colpi di mano in alcune località più significative, ordinò il rafforzamento del pattugliamento della frontiera orientale, soprattutto vicino a Gorizia che rappresentava, allora, un obiettivo di rilevanza politico-militare», scrive nella relazione illustrata al convegno Cadeddu.

La ripartizione dello scacchiere operativo prevedeva tre settori. Il primo da Tarvisio al monte Lubia presidiato dalla Brigata alpina “Julia” rinforzata da un battaglione alpino del 7° Reggimento alpini e da un gruppo d’artiglieria da montagna della brigata “Cadore”.

Il secondo dal Monte Lubia al torrente Vipacco, presidiato dalla divisione “Mantova” rinforzata dal 182° reggimento corazzato “Garibaldi” e dal XIII battaglione mobile dei carabinieri. Il terzo, dal torrente Vipacco al mare assegnato alla divisione “Folgore” e rinforzato dal battaglione “San Marco”. Al “Genova” cavalleria si aggiunse un gruppo squadroni carri del reggimento “Lancieri di Novara”, che venne schierato nella zona Cormons-Capriva. In riserva vennero tenuti i reggimenti della divisione corazzata “Ariete”.

Appena avuta notizia della firma del “Memorandum” il Consiglio dei ministri, sotto la presidenza Scelba, designò il prefetto Giovanni Palamara Commissario civile per la Zona A e il generale Edmondo De Renzi Comandante delle Forze di occupazione. Il 6 ottobre il generale Winterton, governatore militare del capoluogo giuliano, confermò via radio agli abitanti della Zona A l’avvenuta firma del “Memorandum” e autorizzò l’esposizione del tricolore italiano su tutti gli edifici pubblici. Lo stesso giorno De Renzi si recò al castello di Duino dove discusse con lo Stato Maggiore alleato le modalità per il passaggio dei poteri. Attorno alla Zona A, intanto, in attesa del 26 ottobre, cominciavano ad attestarsi i reparti militari che avrebbero dovuto sostituire gli alleati nell’occupazione della città.

Venne costituita una unità di formazione del rango di brigata che assunse la denominazione di “Raggruppamento Trieste”. L’unità, posta agli ordini del generale Mario Gianani, comandante della fanteria della divisione “Trieste”, inquadrava i seguenti reggimenti: 82° motorizzato “Torino” di stanza a Forlì, 8° bersaglieri di stanza a Pordenone, 4° “Genova Cavalleria” di stanza a Palmanova, 21° reggimento di artiglieria a Bologna, V battaglione genio collegamenti di stanza a Codroipo, oltre a unità del supporto logistico. E sul fronte mare e nei cieli? Da Venezia venne mobilitata la 2^ divisione navale, con i caccia “Grecale”, “Granatiere”, “Artigliere” e l’incrociatore “Duca degli Abruzzi”, mentre dall’aeroporto di Istrana i velivoli del 2° Stormo avrebbero preso possesso dello spazio aereo.

L’ingresso dei bersaglieri motorizzati a Trieste chiudevano la partita in piazza Unità.

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