Il sindaco in missione a Vienna Ma in treno è un viaggio infinito

di PAOLO RUMIZ
In carrozza Burgermeister Cosolini. A Vienna, si parte. Missione speciale: visita al sindaco Michael Haupl, uno dei più amati d'Europa, e alla sua città-modello, già infiocchettata per le feste dell'Avvento. Viaggio in treno stavolta, lungo la Pontebbana che “povero Franz” fece costruire nel 1879, per risalire come salmoni oltre le Alpi fino alle sorgenti del porto franco. Su fino alla Suedbahnhof, capolinea del Sud che ieri si chiamava Triestbahnhof, stazione Trieste, e poi all'hotel “Das Triest” rifatto da un austriaco di madre triestina.
Viaggio obbligato, per una città che oggi nella sua micro-regione conta meno di quanto contasse in un grande impero. Viaggio infinito, anche: otto ore e 32 minuti con due cambi e tre biglietti, scelto apposta per masticare fino in fondo l'amaro di un isolamento, reso più amaro ieri da uno sciopero Trenitalia.
Appuntamento dietro l'Anagrafe. Il corpaccione del sindaco sbuca con loden, valigetta a ruote con borsa di lavoro e busta mezza aperta per abito da cerimonia.
Trascina anche un bagaglio di idee forti: portare nell'ex capitale la mostra di Barcellona sulla città di Magris e dedicare il 2014 a Trieste a una serie di eventi su Vienna, teatro, musica, psicanalisi, urbanistica, cucina e altro. «Se torno a casa con un'intesa di massima, è già un ottimo risultato. Lo scopo è riconnetterci col vecchio mondo e, già che ci siamo, attirare stranieri».
E intanto siamo in stazione, ma dalla stazione il treno non parte e tocca ricuperare l'auto blu per arrivare a Udine in tempo per la coincidenza, che non è con un treno, figurarsi, ma con una corriera delle Ferrovie austriache.
Ho in una mano il carnet ferroviario con i biglietti della tratta Trieste-Udine, della Udine-Villaco, e della Villaco-Vienna. Nell'altra ho la “Guida popolare triestina” del 1908, l'annuario con tutte le informazioni sulla città di allora, inclusi i collegamenti col resto del mondo. Il confronto è deprimente. Un secolo fa avevamo sei treni al giorno per la vecchia capitale, e tutti diretti. Oggi, nessuno.
Il viaggio con locomotiva durava dieci ore e sette minuti, con sedici soste, contro le nove ore e ventotto di oggi, epoca dell'alta velocità. Avevamo tre linee: quella via Lubiana-Graz, quella via Pontebba e (dal 1909) quella via Gorizia, Bohinj e Veit-an-der-Glan. Oggi è rimasta solo la seconda, perché fra Trieste e Lubiana non esistono più collegamenti diretti e la linea di Gorizia è chiusa dai tempi della guerra fredda.
A Udine discesa al terminal dei bus, ma il bus austriaco non c'è. Ci dicono che ferma davanti alla stazione ferroviaria, mancano dieci minuti, bisogna correre per il viale con la valigia a ruote, ma anche lì non c'è nessuna indicazione. Per Trenitalia il mondo finisce a Udine, la rotta del Nord è cosa per pochi intimi. Poi arriva il bus austriaco, felpato, a due piani, una specie di salottino molleggiato, dove ti augurano “piacefole fiaccio” e ti garantiscono coincidenza infallibile a Villaco.
Cielo rosso sulla sinistra, prime stelle. Il mega-sindaco sprofonda nella lettura dei giornali sulla grande scommessa dell'Italia. Ed è un'altra cosa andare all'estero senza il Banana al governo. Anche la visita a Vienna assume un altro senso.
Stavolta non è più la visita di cortesia a rimorchio di manifestazioni commerciali. Ora è il sindaco che cerca il sindaco, il suo navigato collega socialista, e gli propone un'alleanza che va oltre la Sachertorte. E' Trieste che torna a guardare alla sua fonte di ricchezza, lo spazio centro-europeo, e alla capitale dell'impero cui appartenne per mezzo millennio. Missione politica, al cento per cento.
Nel buio della Valcanale l'Italia pare già una cosa lontana. A Villaco semideserta coincidenza tranquilla e freddo porco, tempo per un panino e spritz di mele, poi salita verso il Semmering via Bruck an der Mur nella notte punteggiata di luci.
Ancora l'almanacco triestino. Disegna una rete impressionante di collegamenti ferroviari attorno alla città. Per Vienna, Fiume, valle dell'Isonzo, Venezia, Lubiana, Budapest, Zagabria, Pola, Aidussina, Parenzo, Spalato e Knin, Ragusa, Mostar, Trebinje. Con una sola coincidenza si arrivava a Praga e Cracovia. Eravamo al centro di tutto. Oggi c'è Udine e Venezia, fine. Perfino trent'anni fa era meglio, senza Schengen e con la cortina di ferro di mezzo. Da Trieste andavi in “wagon lit” a Belgrado, Parigi, Genova, Roma. Ancor più stupefacente la rete marittima di un secolo fa: Gibilterra, Tangeri, Alessandria d'Egitto, Amburgo, New York, Anversa, Bordeaux, Bombay, Calcutta, Shanghai, Corfù, Istanbul, Kobe in Giappone, Liverpool, Marsiglia, Pireo, Rotterdam e Trebisonda in fondo al Mar Nero. E che dire delle decine di collegamenti per la Dalmazia, a tutte le ore e in tutti i giorni della settimana. Oggi? Durazzo, Albania.
Il treno fila soporifero, non c'è nemmeno sobbalzo dei giunti fra le rotaie. Luci del Worthersee, Klagenfurt Hauptbahnhof, voce mielosa del capotreno, che qui si chiama Zugfuhrer. Nessuno parla a bordo. Il sindaco lavora. Ancora tre ore per il Danubio.
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