Il sogno goriziano di Claudio e Mercedes

«Oggi posso dire d’avercela fatta». Claudio Dobrilla è un migrante di ritorno. Nato a Buenos Aires da una famiglia di esuli istriani, è arrivato a Gorizia nel marzo 2003 con la moglie Mercedes, tre valige e un borsone pieno di coperte, lenzuola e posate. A spingerlo verso l’Europa erano stati l’incontro fortuito con un triestino e la crisi economica argentina. Quando le cose sembravano andare bene, nel 2013, a dieci anni esatti dal suo arrivo a Gorizia, ha però dovuto fare i conti anche con la crisi italiana.
Claudio non si è però perso d’animo e con l’incentivo che gli è stato dato per andare in mobilità volontaria ha deciso di diventare imprenditore. Ora è rappresentante per l’Italia, la Slovenia e la Croazia del marchio americano leader nella produzione di macchine e attrezzature per lavanderia Speed Queen e dopo aver aperto una prima lavanderia in via don Bosco, domani ne aprirà una seconda in via Vittorio Veneto.
«Quando ho aperto la prima lavanderia, qualcuno qui a Gorizia mi è venuto vicino e mi ha detto: ‘Qua te ga trovà l’America, argentin’. Cosa posso rispondere? Di leggere la mia storia?» La storia sua - e più in generale quella della sua famiglia - è la storia di chi non si arrende di fronte alle difficoltà e si rimbocca sempre le maniche per ripartire senza piangersi addosso. Raccontarla in breve non è affatto facile. All’indomani del trattato di Osimo i genitori di Claudio hanno dovuto lasciare Pirano per Trieste. Il padre - cameriere sulle navi Cosulich - nell’aprile del 1949 decide di trasferirsi a Buenos Aires dove scopre, però, che le cose non sono rosee come gli erano state raccontate. Si ritrova a fare il lavavetri, poi mette in piedi una piccola officina e nel 1962 apre un’azienda vera e propria dove fabbrica con un suo marchio martinetti idraulici. Negli anni Settanta si ingrandisce e nel 1984 il figlio entra in società con lui. Negli anni Novanta la concorrenza straniera spingerà però Claudio a rivedere l’organizzazione aziendale e a dedicarsi alla sola assistenza tecnica. Poi esplode la crisi economica del 2001 e a dicembre l’azienda chiude. A quel punto arriva l’incontro che cambia il destino della famiglia. Mentre Claudio mostra a Mercedes le foto di Trieste su internet, si imbatte in un forum e conosce Stefano. È a quel triestino che vive a Gorizia che confessa prima che a chiunque altro il desiderio di trasferirsi in Italia ed è lui che lo aiuta a farlo trovando un appartamento in via Rabatta e anticipando le spese per la caparra e un mese d’affitto. «Non avevamo niente da perdere – racconta Claudio -. Uno poteva pensare che fosse uno sfruttatore, ma quando si trattava dell’Italia andava tutto liscio, quando le cose riguardavano l’Argentina non giravano mai bene». La coppia si è fidata e ha avuto ragione dal momento che il legame con quello sconosciuto nel tempo è diventato tanto forte che, in suo onore, hanno poi deciso di chiamare Stefano il figlio. L’arrivo a Gorizia Mercedes lo ricorda bene: «Venivamo da un posto dove si suona il clacson 24 ore su 24: la prima cosa che ci colpì della città era il silenzio. Erano le 23.30 di un giorno di marzo: tutto era fermo e non c’era nessuno per strada. Come abbiamo aperto la porta dell’appartamento abbiamo però trovato un mazzo di fiori, il letto pronto, il riscaldamento acceso e il frigorifero pieno. Stefano si è anche scusato per le posate, perché non erano nuove. Le abbiamo ancora». Mercedes è diventata cittadina italiana nel 2006, ma non è mai più tornata in Argentina. «Quando ho messo piede sull’aereo, sapevo che c’era il rischio di non rivedere più la mia famiglia. Ma sapevo anche che dei sentimenti non si vive».
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