Il terremoto della Pasqua 1895 spinse tutti in piazza Grande

Punti di Vista
Diego Kuzmin
Voja, o no voja, Pasca ul foja! Voglia o non voglia, Pasqua vuole foglia!
Con questo vecchio detto goriziano, Ranieri Mario Cossàr nella sua “Gorizia d’altri tempi” del 1934 - senz’altro da ristampare - inizia la descrizione della Pasqua di una volta: «Per Pasqua, i prati ed i campi avevano già assunto la veste primaverile. Gorizia, bianca diva dell’Isonzo, appariva tra il verde dei suoi vaghi giardini, in tutta la sua adorabile smagliante bellezza. Nel ronco dell’Arcivescovo gli usignoli concertavano la notte, e in Piazza Grande, verso le ore antelucane e quando il cielo si tingeva d’un rosa vellutato era una delizia a starne udire i gorgheggi … Per le vie della città s’incontravano contadine con panieri (sistèlis) ricolmi di tradizionali dolci pasquali quali le pinze, le gubane, le fùlis, il pan sporch, che portavano a benedire nella Metropolitana ... I cittadini portavano invece a benedire nella stessa chiesa il sale, lo zucchero, le ova colorate ed il prosciutto che si usava consumare in quel giorno. ...Verso le dieci tutta la famiglia raccolta attorno il suo capo mangiava belle fette di prosciutto lessato in casa (fetis tajadis cul fanselùt), fùlis, ova sode e abbondanti porzioni di gubana ... Non diremo del pranzo luculliano del giorno di Pasqua nelle vecchie famiglie della città. Accenneremo soltanto che certe usanze, tutt’ora conservate, risalgono a tempi remotissimi e che i goriziani godevano antica rinomanza per la bucolica».
Nell’Ottocento, come già nel secolo precedente, la festa durava tre giorni: il primo a San Pietro dove «dopo il vespero la gente prendeva d’assalto le osterie» che offrivano in dono un piatto di prosciutto cotto con due fette di pinza e gubana e due uova colorate; il giorno dopo a Salcano «dove la mite temperatura permetteva già di sedersi all’aperto, sotto il pergolato del cortile … col pallido Cividino del Collio che faceva perdere l’equilibrio a chi non sapeva misurarsi». Il terzo giorno alla Campagnuzza «dove veniva eretto l’albero della cuccagna con molti premi gastronomici», proseguendo al ritorno per «un quartino (quartùs) nella trattoria Alla Bella Veduta, dove in quel giorno v’era la festa da ballo».
Ricorda poi Cossàr la pasqua del 14 aprile 1895, incancellabile nei goriziani dell’ultimo Ottocento per «il terremoto che fece ballare la monferrina a tutto l’abitato costringendo i cittadini a rifugiarsi in piazza Grande, per mettersi al sicuro». —
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