Il terrore nel dibattito sul nesso fra potere e violenza
di CESARE VETTER*
La questione del Terrore sta da sempre al centro della riflessione sulla rivoluzione francese. A partire dagli attori stessi dell'evento rivoluzionario per arrivare fino ai giorni nostri si è discusso e si continua a discutere sulla periodizzazione del Terrore, sulla sua contabilità numerica, sulle sue cause. La periodizzazione accettata comunemente fa riferimento all'anno II del calendario rivoluzionario, più specificamente dal settembre 1793 alla caduta di Robespierre (9 termidoro anno II: 27 luglio 1794). Si parla inoltre di Primo Terrore per le stragi nelle prigioni di Parigi del settembre 1792 e di Grande Terrore per il periodo successivo alla legge del 22 pratile anno II (10 giugno 1794).
Va chiarito in ogni caso che Il Terrore non è mai stato messo ufficialmente all'ordine del giorno, come sostiene disinvoltamente una vulgata storiografica poco attenta alle verifiche filologiche. Sulla contabilità numerica le cifre ballano: dai 2.022.903 prospettati dal giornalista Prudhomme a ridosso degli eventi, fino alle poche decine di migliaia prospettate in studi anche recenti. L'ordine di grandezza più verosimile è quello suggerito da Donald Greer in uno studio statistico pubblicato nel 1935: 35/40.000 vittime tra terrore legale, esecuzioni di massa e persone morte in prigione. A questa cifra vanno però aggiunte le vittime della repressione in Vandea, comprese in una forbice tra le 125.000 e le 250.000 persone.
Sulle cause si confrontano da sempre due opposte spiegazioni. Secondo la prima, Il Terrore è stato il frutto delle circostanze difficilissime in cui si trovava la Francia nel 1793-1794. Risposta contingente e non premeditata quindi. Secondo un'altra interpretazione invece -avanzata per la prima volta da Benjamin Constant nel 1797 e rilanciata con forza dalla scuola revisionista di Furet negli anni Settanta e Ottanta del Novecento - il Terrore nasce dalla cultura rivoluzionaria stessa. Origini ideologiche e politiche quindi, frutto di un'impostazione che tende a escludere il pluralismo etico e di conseguenza anche il pluralismo politico. Furet tra l'altro - e con lui molti altri - hanno ripreso e sviluppato un'idea avanzata nel 1794 da Tallien, uno dei protagonisti di Termidoro: il Terrore colpisce le persone non per quello che fanno ma per quello che si presume che siano. Caratteristica che permetterebbe di comparare il Terrore della rivoluzione francese ad altri Terrori della storia, ivi compreso il Terrore islamista: in questa prospettiva, per venire alla stretta attualità, si muovono per esempio le analisi di Paul Berman e di Domenico Quirico.
Va richiamata infine l'attenzione su un'intrigante suggestione avanzata recentemente da Jean-Clément Martin: nell'immaginario collettivo il Terrore è così prepotentemente associato alla rivoluzione francese, perché per la prima volta nella storia la rivoluzione francese porta alla ribalta del discorso pubblico un dibattito esplicito sul nesso potere-violenza. Le questioni, che ho qui tratteggiato sommariamente, saranno oggetto di trattazione analitica nei corsi magistrali di Storia della Francia, che mi accingo a impartire nel secondo semestre di questo anno accademico presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Trieste. Alcune di esse inoltre sono parte integrante del Dictionnaire Robespierre, che sta finalmente per vedere la luce per i tipi della Eut.
*insegna Storia della Francia al Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Trieste
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