Il testo integrale della lettera degli operatori del Pronto soccorso di Trieste: «Noi figli di un Dio minore, nel purgatorio dei pazienti»

TRIESTE La quasi totalità del centinaio di operatori del Pronto soccorso di Trieste ha firmato una lettera alle istituzioni e alla città per denunciare le condizioni di sovraccarico e stress a cui è sottoposto il servizio (qui sotto l’articolo).

Trieste, gli operatori del Pronto soccorso scrivono una lettera alle istituzioni e alla città: «Non ce la facciamo più»
Ambulanze al pronto soccorso di Cattinara

Ecco il testo integrale:

Figli di un Dio minore.

Ci sentiamo così ogni volta che varchiamo la soglia del “nostro” Pronto Soccorso “occupato”, da una variegata umanità intrappolata in un Dantesco purgatorio di attesa.

Attesa per il risultato di un tampone come lasciapassare per il resto dell’ospedale (la commistione invece, da noi, non è mai ritenuta disdicevole).

Attesa per un esame, per una visita Specialistica.

Attesa di un’autoambulanza per rientrare a domicilio.

Attesa soprattutto per un posto letto di ricovero.

Non è più aneddotico trovare, tra i corridoi e gli anfratti del Pronto Soccorso, decine e decine di persone che stagnano in questo Purgatorio, mentre si accresce fuori la nuova lista dell’utenza in attesa.

Sempre più risorse mediche ed infermieristiche, vengono impegnate per far fronte a questa palude interna e sempre più esigue, e talora minoritarie, restano le risorse a disposizione per accogliere e valutare le persone che accedono in PS per le più svariate necessità.

Ed ecco che la nostra “mission” di soccorso ed urgenza va progressivamente soccombendo, mentre ci reinventiamo nelle varie figure assistenziali del caso e non meno in quella di assistenti sociali.

Mentre cerchiamo di lavorare in uno sforzo costante per non far capitolare la nostra concentrazione sotto i colpi incessanti di richieste, lamenti che ci attorniano, continue interruzioni telefoniche per informazioni ai parenti, continui variabili impazzite di “è caduto Tizio”, “Sempronio non vuole tornare a casa perché vive solo”, “Caio è in delirio” etc. etc., in un rumore di fondo che ci fa vivere con un’angoscia perenne di COLOSSALE RISCHIO CLINICO, che ci accompagna spesso anche quando rientriamo tra le mura delle nostre case.

Deprimente, avvilente, demotivante, sentimenti comuni e crescenti che hanno indotto negli ultimi mesi all’abbandono del PS di 8 medici e indotto svariate domande di trasferimento da parte di personale infermieristico e OSS. Di questo passo, solo la punta dell’icerberg.

Siamo stanchi e ci vergogniamo di continuare a fare i saltimbanchi tra le barelle mentre assistiamo impotenti agli anziani che, incasellati in quelle lettighe, perdono ogni forma di autonomia, spesso di dignità – conoscendo l’onta dell’esposizione pubblica e la manipolazione dei loro corpi spesso più di quanto necessario se, in questo contesto, il pannolone fa parte del loro kit di benvenuto- e di contatto con i propri affetti (privilegio riservato molto a fatica solo a quelli che, tra le nostre pareti, anche, muoiono)

Sembra retorica e non lo è dire “ se fosse tuo padre” , “se fosse tua madre” perché di fatto lo sono e come noi, più di noi, figli di un Dio ancora più piccolo.

Queste parole rappresentano l’ultimo tentativo che decidiamo di fare per chiedere a TUTTI, Direzione Sanitaria, Politica, Gente Comune di mobilitarsi ed intervenire concretamente per risanare questa situazione.

Noi ci occupiamo di Urgenza ed è quello che vorremmo continuare a fare, se ci verrà permesso.

Ma sappiamo anche cosa non vogliamo essere: COMPLICI di questo stato di cose.

Chi invece lascerà che tutto questo continui a scorrere, indifferentemente, da questo momento, lo è.

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