Il traffico di rifiuti stoccati a Mossa Tre condanne e la confisca dei beni

Laura Borsani / MOSSA
Il processo in relazione al traffico illecito di rifiuti transnazionale, nell’ambito dell’indagine culminata nel blitz dei carabinieri (era il marzo 2019), al capannone dell’ex stabilimento Bertolini di Mossa, s’è chiuso ieri, al Tribunale di Gorizia, all’insegna di pesanti condanne a carico dei tre imputati, il goriziano Piero Pellizzon, 40 anni, il gradese Giuliano Di Nardo, 49, e il bellunese Alessio Dalla Santa, 45. Importanti provvedimenti di confisca nel coinvolgere anche la responsabilità amministrativa delle società Promogestin Immobiliare, di Di Nardo, e Piero Pellizzon Immobiliare Srl. All’epoca del blitz erano scaturiti 6 arresti. Per Claudio Paoluzzi, 57 anni, Fiorenzo Giorgio Cammarata, 57, di Gorizia, e Remo Dalla Santa, 52, fratello di Alessio, al Tribunale di Trieste, erano stati definiti i patteggiamenti, dai 2 ai 3 anni. E ieri a Gorizia la sentenza, pronunciata dal giudice monocratico Concetta Bonasia, dopo la discussione finale. Un dispositivo articolato. Le condanne: 2 anni per Pellizzon, 1 anno e 4 mesi per Di Nardo, mentre per Alessio Dalla Santa 6 mesi, in continuità con la condanna già applicata a seguito di sentenza pronunciata a Milano, e l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. È stato disposto il ripristino dello stato ambientale a spese degli imputati, che per Di Nardo varrà la sospensione condizionale della pena. E ancora, la sanzione pecuniaria di 90 mila e 300 euro comminata a Promogestin e Pellizzon Srl, per un totale quindi di 180.600 euro. C’è inoltre la confisca quantificata in 202.393 euro, sui beni degli imputati e a carico delle società in questione, oltre alla confisca del capannone, del muletto, del generatore e del camion, “oggetti” di reato. Il risarcimento alle parti civili, la Regione e il Comune di Mossa, da liquidarsi in sede civile. Il giudice s’è riservato 15 giorni per il deposito delle motivazioni.
Tutto ruota attorno ai rifiuti speciali, “balle reggiate” di rifiuti plastici stoccate a Mossa. Lunga la requisitoria del pubblico ministero Federico Frezza, di Trieste. Su tutto ha sostenuto un aspetto: Pellizzon e Di Nardo avevano scoperto che nel capannone di proprietà venivano trattati i materiali speciali e cionostante «non fecero denuncia». Il pm ha chiesto 6 mesi in continuazione della condanna milanese per Dalla Santa, 1 anno e 4 mesi per Pellizzon e Di Nardo, la confisca del capannone e del denaro sequestrato per circa 200 mila euro complessivi. Altrettanto articolate le arringhe dei difensori, gli avvocati Massimo Montino, di Belluno (Alessio Dalla Santa), Maurizio Rizzatto (Piero Pellizzon), Paolo Bevilacqua (Giuliano Di Nardo). Assieme all’avvocato Costantino, a rappresentare le due società, tutti hanno richiesto l’assoluzione. Con l’avvocato Montino a soffermarsi sui rapporti tra Cammarata ed il proprio assistito, che ieri ha reso dichiarazioni spontanee, per sostenere: «Quando Dalla Santa ha compreso con chi aveva a che fare, ha chiuso ogni contatto. E Cammarata è andato per conto suo assieme a Paoluzzi». Nè, ha aggiunto, «risultano telefonate o pagamenti collegabili ai viaggi delle “ecoballe” provenienti dalla Slovenia». Il collega Rizzatto ha parlato di «indagini superficiali: i rifiuti erano stati quantificati sei volte di più rispetto all’effettivo carico, di 770 tonnellate». Pellizzon «era un imprenditore immobiliare, voleva vendere il capannone. Ha sbagliato a non denunciare quando ha scoperto la situazione, ma l’omissione non è reato. S’era fidato». L’avvocato Bevilacqua su tutto ha sottolineato: «Non ci sono elementi minimi per stabilire la consapevolezza della responsabilità e il dolo». Ha ricordato la genesi delle indagini, i 12 faldoni con l’intervento della Dda, nel creare la «suggestione» circa il collegamento con «l’inquietante fenomeno delle ecomafie. Premesse che si sono perse nel vuoto. Si sono voluti individuare collegamenti particolari assolutamente inesistenti». E «se si erano trovati i rifiuti in casa cosa potevano fare? Di Nardo e Pellizzon avevano semplicemente concesso la disponibilità del capannone di proprietà a Cammarata e Paoluzzi. Si sono fidati». L’avvocato Elda Massari ha chiesto 305 mila euro di danni, oltre al danno di immagine poiché la Regione, quale ente sostitutivo ha dovuto procedere allo smaltimento e trattamento dei rifiuti rinvenuti. Per il Comune l’avvocato Gianna Di Daniele ha chiesto la condanna degli imputati e delle società e i danni di immagine. La richiesta economica complessiva: quasi 40 mila euro, comprensiva di spese per il ripristino del sito e gli atti amministrativi.
I difensori degli imputati si sono detti «amareggiati per un’istruttoria che aveva chiarito l’esclusione dalle responsabilità dei nostri assistiti. Attendiamo il deposito delle motivazioni per capire un verdetto di così severa colpevolezza».—
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