Il treno? È l’ideale, ma non da Trieste

di RICCARDO ILLY
Mi piace viaggiare in treno. Lo faccio ogni qual volta me ne venga data l’occasione. L’ultima un paio di settimane fa, negli Stati Uniti; dovevo andare da Philadelphia a New York. Finita la colazione di lavoro in un ristorante nel centro via a piedi verso la stazione – è uno dei vantaggi del treno, spesso si può andare a prendere a piedi – a trasformare il biglietto elettronico in cartaceo presso un totem per salire a bordo di lì a qualche minuto. Dopo poco più di un’ora sono nel cuore della Grande Mela. Guardo la mappa sul Blackberry e scopro che il mio hotel è solo a una ventina di isolati di distanza e quindi opto per un’altra passeggiata, col trolley al guinzaglio che mi segue fedelmente. Il treno è (quasi) puntuale, in ottime condizioni di manutenzione, pulito; un servizio di cibi freddi e bevande viene proposto con discrezione. Il capo treno, che siede poco distante, controlla e annulla il biglietto ed è disponibile per ogni esigenza di viaggio.
Pochi mesi prima un altro breve viaggio in Italia, da Genova a Torino; altri ancora da Milano a Torino o, più frequenti, da Mestre (che raggiungo in auto) a Milano. Di tre viaggi recenti all’estero conservo un vivido ricordo; il primo da Colonia a Amburgo nella campagna tedesca costellata da mulini a vento per la produzione di energia elettrica, il secondo da Parigi a Bordeaux, in un alternarsi di pianura e colline, il terzo da Washington DC a New York, con la stessa società di quello da Philadelphia.
Ricordi più sbiaditi riguardano il treno letto Trieste-Roma che da ragazzo prendevo con la squadra della Triestina Nuoto per partecipare ai campionati nazionali che si tenevano nella capitale. Di dormire non se ne parlava proprio un po’ per la naturale tendenza dei ragazzi a sfruttare altrimenti l’occasione di essere via da casa, un po’ per l’ossessionante rumore delle ruote sui giunti dei binari: ta-tan, ta-tan... Allora non erano ancora saldati l’uno all’altro per creare una silenziosa continuità; si credeva che i giunti fra un binario e l’altro fossero necessari per recuperare le dilatazioni dovute alla differenza di temperatura.
La qualità dei treni all’estero è senz’altro superiore; le carrozze (il materiale rotabile, come lo chiamano loro, i ferrovieri) sono generalmente recenti, ben mantenute e pulite. In Italia il livello è meno omogeneo, spesso le carrozze sono “vecchiotte” se non vetuste e anche la manutenzione lascia talvolta a desiderare. Peraltro il prezzo all’estero è sensibilmente più alto: ho pagato 140$, circa 107 euro, per i 150 km tra Philadelphia a New York, cioè 0,7 euro/km. Il viaggio in Francia è costato circa 0,3 euro/km, quello in Germania 0,4, il Genova Milano 0,18. Come si dice dalle nostre parti: «Poco ti spendi, poco ti godi!» Scherzi a parte le tariffe ferroviarie italiane sono le più basse d’Europa e finora l’approccio populistico della politica ha scelto di non adeguarle ai costi di un buon servizio e alla media degli altri Paesi: tanto quando qualcosa non va la gente se la prende con le Ferrovie o con l’ing. Moretti, mica con i politici contro i quali si scaglierebbero invece in caso decidessero aumenti.
Prendo volentieri il treno non solo per la comodità di partire e arrivare nel centro delle città, di poter viaggiare con uno spazio vitale a disposizione che include la possibilità di sgranchire le gambe e di poter sfruttare il tempo lavorando al telefono o al computer, ma anche perché so che è il mezzo di trasporto più rispettoso dell’ambiente attualmente in uso. A parità di persone/merci trasportate una linea ferroviaria occupa una sezione di territorio pari a circa un quinto rispetto a un autostrada. I consumi di energia sono di decine di volte inferiori rispetto al trasporto su gomma e, tra l’altro, l’energia consumata è elettricità prodotta da centrali termoelettriche che, nel caso del turbogas, hanno superato il 60% di efficienza (cioè la percentuale di energia termica trasformabile in elettrica e quindi in meccanica) mentre i migliori motori a combustione interna degli automezzi non arrivano alla metà. Sì, avete capito bene, più del 70% del carburante usato da una vettura o da un autocarro viene trasformato in ... calore, cioè buttata via.
Non parliamo poi della sicurezza che vede il ferro primeggiare rispetto alla gomma di migliaia di volte. Per sottrarre traffico alla gomma e all’aria (ancora più inquinante) è necessario che il ferro sia competitivo, per le merci come per i passeggeri. Questo significa treni che possano portare merci in maggiore quantità e persone in minore tempo; la risposta si chiama treno AV/AC (alta velocità/alta capacità), cioè quell’opera così contestata in Val di Susa. È difficile capire come mai in Italia (unico Paese al mondo) sedicenti ambientalisti si oppongano alla costruzione di moderne linee ferroviarie (le uniche in grado di competere con la gomma e strappare a questa quote di mercato). Mi sono sempre chiesto, oltre probabilmente all’ignoranza di questi incontestabili fatti, quali interessi siano riusciti a mobilitarli. Io li chiamo scherzando (ma in ogni scherzo c’è un fondo di verità), invece che No-Tav, Sì-Autostrada. Perché è chiaro che se non verranno costruite nuove e competitive reti ferroviarie, lo saranno invece nuove o ampliate autostrade.
Da Trieste purtroppo prendo raramente il treno; la qualità del servizio, non tanto in termini di qualità delle carrozze quanto in termini di tempi di percorrenza, non è concorrenziale con gli altri mezzi di trasporto. Ed è un peccato perché per le medie percorrenze (500-600 km) che sono quelle che ci dividono da Milano, Torino, Firenze oppure da Vienna, Budapest e Zagabria, il treno è abitualmente il mezzo di trasporto ideale, anche in termini di tempi da porta a porta.
Nel caso di Trieste ci sono problemi di infrastrutture in due delle tre direttrici (Est e Nord) e di servizio nella tratta Ovest fino a Venezia. La tratta Trieste-Monfalcone, costruita a metà del 1800, ha problemi di raggi di curva troppo stretti che impediscono adeguate velocità commerciali. Ha anche problemi di pendenza eccessiva (in prossimità di Barcola) e di insufficiente portanza dei ponti, ciò che la rende inadatta anche al trasporto delle merci. Infatti i carri non possono portare il massimo peso per assale e i treni blocco non possono raggiungere nemmeno la lunghezza considerata minima di 1.000 metri, pena l’obbligo di usare due motrici per il tratto più ripido, con le diseconomie che ne conseguirebbero.
Per superare questi problemi non esiste altra soluzione che costruire una nuova tratta in galleria; chi si ostina a parlare di ammodernamento di quella esistente non sa semplicemente di cosa parla. Purtroppo anche l’amministrazione comunale si è recentemente espressa contro l’ipotesi di costruzione della nuova galleria, con motivazioni poco convincenti; la sua mancata costruzione costringerebbe Trieste all’isolamento ferroviario.
Proseguendo verso Nord andiamo bene fino a Tarvisio (la linea è nuova, inaugurata poco più di dieci anni fa); in territorio austriaco troviamo due colli di bottiglia per proseguire verso Budapest o Vienna: il Coralm Alp e il Semmering. La costruzione di due nuove gallerie, in discussione da decenni, consentirà di superare questi due massici evitando i rallentamenti attuali; la soluzione tecnica e l’accordo politico tra Stato e Land sono stati trovati, ora ci vorrà una ventina di anni per costruire le gallerie. Buone per i nipotini... Per andare a Est 160 km di binari costruiti sempre a metà ‘800, ci separano da Lubiana che dista 70 km in linea d’aria. In mezzo c’è un valico alpino da superare e i binari seguono l’orografia delle montagne prima di sbucare nella piana di Lubiana. Morale: la tratta è lunga e i treni devono andare piano a causa delle continue curve, ci vogliono due ore per coprire 70 km!
Proseguendo verso Est è anche peggio; tra Maribor e il confine ungherese una cinquantina di km non è elettrificata e il valico con l’Ungheria ha un binario singolo. Tant’è che il treno Venezia-Budapest, ora soppresso, arrivato a Maribor “virava” verso Graz per poi raggiungere, con un notevole allungamento del tragitto, Budapest. La Slovenia, da quando si è costituita in Repubblica, non ha dimostrato alcun interesse nel completare, ammodernare o rinnovare la sua rete ferroviaria. La soluzione per noi sarà probabilmente quella di bypassarla a Nord delle Alpi, attraverso l’Austria; tra vent’anni.
Da Monfalcone a Venezia, invece, non ci sono molti problemi strutturali, però... Siccome Trieste è una città piccola e per i motivi appena illustrati non esiste un traffico di lunga percorrenza verso Lubiana e Budapest da sommare a quello modesto originato a Trieste, per rendere economica la gestione della tratta bisogna imbarcare persone anche a Monfalcone, Latisana e Portogruaro, con il risultato di percorrere 150 km in quasi due ore. Arrivati a Mestre, poi, si può scegliere tra scendere e aspettare la coincidenza di un treno diretto a Milano oppure restare a bordo e perdere mezz’ora per andare fino a Venezia S. Lucia e poi ritornare a Mestre. In questo caso la digressione è necessaria per servire i turisti che, a milioni all’anno, vanno a visitare Venezia. I pochi che vorrebbero tirare dritto sono costretti a adeguarsi ai molti diretti nella città lagunare.
Tutto ciò spiega perché il Trieste-Milano impiega oggi più tempo di quanto fosse necessario tra le due guerre. E la soluzione è nuovamente solo una, purtroppo lontana nel tempo; generare quel traffico di passeggeri verso Est da sommare a quello generato da Trieste per poter realizzare finalmente un servizio diretto verso Milano e Torino con soste solo nei capoluoghi di provincia. Campa cavallo; intanto continueremo ad andare in auto, in aereo o in moto.
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