Il “vero” Prosecco nasce nella Dalmazia dei dogi

Il vino prodotto sulla costa croata finito nel mirino dell’Ue è il più fedele alle origini dell’uvaggio. La denominazione risale all’umanista triestino Bonomo
Di Giovanni Tomasin

TRIESTE. Nel 1593 il gentiluomo inglese Fynes Moryson visita l’Italia settentrionale e annota, tra le particolarità del «Forum Julii» e dell’«Histria» il vino “Prosecho”. Una nota storica soltanto apparentemente marginale, visto che getta luce su un capitolo della storia dell’enologia che ancor oggi provoca confusione: prova ne sia l’ingarbugliata vicenda del prosecco dalmata, che negli ultimi giorni si è visto prima negare la propria dominazione da Zagabria (in ossequio alle norme europee), salvo poi riottenere la tutela del governo centrale con gran sollievo dei produttori locali.

A citare l’episodio di Moryson è Fulvio Colombo, lo storico medievalista triestino che ha svelato le origini del nome del vino nel suo libro “Prosecco perché? Le nobili origini di un vino triestino”. Colombo ha scoperto tramite un’accurata ricerca che il nome del prosecco è stato attribuito nel Sedicesimo secolo dall’umanista triestino Pietro Bonomo a una ribolla prodotta fin dal Basso medioevo nei declivi sottostanti al ciglione carsico, a ridosso del mare.

«In seguito il nome si diffonde - spiega lo storico -, a designare un vino dolce, prodotto con uve stagionate sulla pianta e raccolte a fine ottobre, prima nel goriziano e tramite Venezia nel vicentino, nel trevigiano e in Dalmazia».

Una vicenda intricata che spiega come due vini molto diversi (il prosecco di Valdobbiadene e quello dalmata) condividano la stessa denominazione, attestata in entrambi i casi dal Settecento. Dopo la nascita all’ombra della costiera triesina, il nome si è rivelato un successo commerciale e per il tramite di Venezia è arrivato a designare prodotti differenti. Li accomuna la radice triestina, attestata da Moryson nel Sedicesimo secolo.

«Il grande pubblico dovrebbe anche sapere - spiega Colombo - che il prosecco antico era un vino dolce, e paradossalmente quello dalmata è più simile a quello delle origini. In Dalmazia, data la marginalità commerciale dell’area, il prodotto non si è evoluto e ha mantenuto i caratteri originari, come una sorta di fossile enologico. A Trieste e nel Veneto è invece mutato seguendo le esigenze di mercato».

È singolare, rileva lo storico, che la Croazia non faccia valere queste credenziali per difendere la denominazione del suo prodotto: «Penso che in Dalmazia questa storia non sia sconosciuta, ma siccome la documentazione è tutta lingua veneta, si preferisce insistere sull’estraneità fra il prosecco dalmata e quello di Valdobbiadene».

In Croazia, spiega Colombo, si preferisce identificare il vino con un fantomatico vitigno portato in Dalmazia dall’imperatore Diocleziano: «L’antichità consente di dare una patina più “autoctona” al prodotto - dice -. Ma appunto il nome prosecco non viene da un vitigno, ma da una tecnica di vinificazione».

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