Il verso di Ugo Foscolo emerge cent’anni dopo nelle trincee del Carso

Riapparsa durante i lavori di ripristino della Busa dei Orologi Aperte le ricerche per scoprire il soldato-poeta che la tracciò
Di Luca Perrino

REDIPUGLIA. “A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti”. La frase non è stata detta o scritta da una persona qualsiasi. A diffonderla, molto probabilmente più di cento anni orsono, è stato il poeta Ugo Foscolo. Traducendola, in termini meno letterari, suona più o meno così: “Le tombe dei magnanimi spingono gli animi nobili a grandi imprese”. Potrebbero essere le imprese delle migliaia di soldati italiani impegnati, nel corso della prima guerra mondiale, sul fronte del Carso e dell’Isonzo. Un omaggio e uno sprone di un artista che non aveva mai nascosto i suoi ideali di italianità e il suo fervore antiaustriaco.

La scritta, in quasi tutta la sua limpidezza, visto che un pezzo è stato eroso dal tempo e dagli anni, è riapparsa nei giorni scorsi durante i lavori di ripristino della cosiddetta “Busa dei orologi”, una dolina nella quale, durante la Grande Guerra, era stata sistemata una batteria antiaerea dell’esercito italiano. Una scoperta che cela molti lati oscuri.

Era iniziata di buon ora, qualche giorno fa, la giornata di cantiere con l’associazione nazionale alpini di San Giorgio di Nogaro e Palmanova, coordinati dai Sentieri di pace della Pro Loco di Fogliano Redipuglia, con l’intento di avviare un primo ripristino dell’impianto cementizio che costituiva i basamenti della contraerea venuti alla luce dopo la manutenzione straordinaria della vegetazione che, fitta e rigogliosa, avvolgeva quell’area.

Le squadre di volontari, organizzate per gruppi da Alessio Bellotto, già presidente della Pro Loco, a un certo punto hanno sospeso ogni faccenda al grido: «Guardate qua, venite a vedere». Ecco il ritrovamento di eccezionale valore storico che, in questo caso, fa anche risaltare quella che poteva essere l'elevata cultura di quel soldato o di quei soldati impegnati a far “cantare” le batterie contraeree. Batterie che, con ogni probabilità appartenenti al 13.mo Corpo d'Armata, furono attive sin dai primi mesi del 1916 e sino alla rotta di Caporetto per contrastare quelli che erano i primi accenni di guerra nei cieli. È un graffito simile a quelli come si trovano in altre zone del Carso, una scritta perfettamente incisa, quasi con un pantografo, in stampatello che, dopo una prima esamina enciclopedica, risulta essere del poeta Ugo Foscolo. È incisa su una parte staccata della costruzione cementizia circolare che affiora per una ventina di centimetri dalla terra e che serviva a collocare verso le direzioni di sparo l’arma antiaerea.

Dopo questo ritrovamento è partita la ricerca di ogni frammento del manufatto, ricerca che permetterà di essere più precisi, nel prossimo futuro, su quelli che erano i reparti impegnati nella dolina durante la Grande Guerra. Che sia stata scolpita da mano italiana è indubbio, ma ancora oggi non si sa chi ci fosse realmente, in quegli anni, nella postazione che, ora, piano piano sta tornando alla luce e, nei prossimi anni, costituirà un altro tassello di quel vasto mosaico che è il museo all’aperto della prima guerra mondiale. Una scoperta affascinante, avvolta dal mistero che, c’è da giurarlo, metterà a dura prova nei prossimi mesi studiosi e appassionati del settore. Quando iniziarono le ostilità sul fronte dell'Isonzo, la dolina faceva parte della linea trincerata austroungarica che, dalle alture a Est di Monfalcone fino al San Michele, difendeva il ciglione carsico. I reparti italiani dalla fine di giugno ai primi di luglio avevano risalito il ciglione da Polazzo e dalla pineta di quota 89, minacciando da vicino il complesso trincerato del monte Sei Busi. Poi passò in mano italiana e vi rimase a lungo, vero e proprio “spauracchio” per l’aviazione austriaca e per i reparti volo che operavano su biplani e dirigibili.

@luca_perrino

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