«Immorale speculare sulla morte di mio figlio»

«Le parole sono pietre, direi macigni. Martedì, la città è stata tappezzata di locandine, con gli articoli e con il volto di mio figlio, il mezzo dell’incidente e relativo titolo: “Morte di Giò, il ministero non vuole risarcire i danni”. Tredici anni, vissuti in un dolore mutato in amore”, cancellati. Ripiombare nell’immane dolore e rivivere il passato. Perché? Io e le mie figlie abbiamo seguito le orme calcate da mio figlio. Un bambino che, in nove anni, ci ha insegnato che l’amore è il mezzo più semplice per sopravvivere in un mondo fatto di meschinità e ipocrisie. Le beghe legali si combattono nei tribunali, dove dovrebbe regnare la giustizia dell’uomo! Perché mercificare la vita di mio figlio? Si può “pagare” la perdita di un figlio? Noi aspettiamo, in silenzio, da quasi tredici anni la giustizia». È il testo della lettera inviata in redazione dalla signora Biagia Meli. È la madre di Giò, il bambino morto il 10 ottobre del 2000 investito da un autobus dell’Amg, in sostituzione di uno scuolabus in quel momento nell’indisponibilità del Comune. L’articolo cui si riferisce la signora Meli riguarda il contezioso aperto dal Comune di Gorizia, con delibera di giunta che è un atto pubblico, nei confronti del Ministero della Pubblica istruzione che non intende pagare la sua quota di risarcimento danni. Sostiene il ministero che la sua dipendente, la maestra in servizio sullo scuolabus che ha patteggiato una condanna a nove mesi, avendo ricorso al patteggiamento non è formalmente colpevole. Alla signora Meli, dopo averlo espresso personalmente, ribadiamo tutta la nostra comprensione. Resta, però, il macigno di una verità sconvolgente: dopo 13 anni dalla morte colposa di un bambino giustizia non è stata ancora fatta.
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