In via del Poligono riaffiora bunker della Prima guerra

Un bunker austroungarico della Prima guerra mondiale che riaffiora dal colle della Castagnavizza e, con esso, il romanzo di una “patrona” (proiettile), particolare. Sono le affascinanti storie che Gorizia regala a chi è animato da un minimo di curiosità. Lungo la fiorita via del Poligono che si dipana quasi alla sommità di via della Cappella recentemente è stata effettuata una bonifica ambientale liberando il bosco dagi inutili arbusti. Ed è riaffiorato un tozzo bunker, per meglio dire una torretta di avvistamento. Manufatto che faceva parte delle seconda rete difensiva di Gorizia dagli attacchi italiani portati dal Calvario e dal Sabotino. Nel bel libro di Lucio Fabi “Storia di Gorizia” è riportata la pianta della città con le posizioni delle difese urbane dopo l’otto agosto del 1916. Il bunker di via del Poligono è perfettamente allineato con gli altri eretti sul colle del Rafut e presidiati da soldati bosniaci, giovani assai impauriti dal conflitto a tal punto di essere ricordati, e tramandati, come indefessi piagnoni.
Destino ha voluto che trent’anni dopo il conflitto a pochi metri dal bunker fosse eretto il confine tra Italia e Jugoslavia, così da indurre a ritenere erroneamente il manufatto bellico quale presidio dei soldati italiani al cospetto dei temuti graniciari.
La storia potrebbe finire qua non senza invitare i goriziani a godersi la passeggiata lungo via del Poligono. In fondo alla strada, al civico 11, ultima casa d’Italia, abita il professor Elio De Marco. Del bunker era a conoscenza e, anzi, deve averlo esplorato in passato. Tra i cimeli esposti nella bella libreria domestica c’è anche una “patrona”, termine empirico che, se abbiamo ben compreso, significa proiettile. De Marco fa notare che la “patrona” è di scadente materiale ferroso, a cominciare dall’ogiva che solitamente è rivestita in rame o in piombo. Questa invece è ferro vecchio. Non è una sfumatura di poco conto, ma ci riporta dritti all’epilogo del primo conflitto mondiale, conclusosi a nostro favore anche e soprattutto a causa dello disfacimento organizzativo e strutturale dell’esercito austroungarico: carenza di rifornimenti, scarsa alimentazione, pessimo corredo bellico. E qui entra in gioco Franz Simonetti, nonno di De Marco. Franz faceva parte della milizia territoriale austriaca che presidiava i centri abitati. Il nipote ricorda i racconti del nonno sugli stenti patiti nell’ultimo periodo bellico anche a causa degli armamenti. La milizia era dotata del fucile da fanteria Werndl risalente addirittura al 1866, all’epoca della batosta subita dagli austriaci ad opera della Prussia. Quel modello nato vetusto era indiscutibilmente superato nel 1918 nonostante qualche miglioria tecnica. Ed era armato con cartucce di poco conto, calibro undici anziché 9,95, come la “patrona” trovata da De Marco nel bunker di fronte a casa. Una “patrona” dello stesso tipo di quella utilizzata dal nonno. Ecco perché anche un ferro vecchio può trasformarsi, eccome, in un prezioso cimelio.
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