Infiltrazioni e incuria, l’Ara Pacis muore

Sopra il Colle di Medea il bianco contrasta con il blu e si mescola con il verde. Il bianco non è quello delle nuvole che corrono veloci nel cielo spinte dal vento, è piuttosto quello dell’Ara Pacis Mundi. La buona notizia è che nella Zona sacra non ci sono segni di vandalismi, quella cattiva è che, ad oltre mezzo secolo dalla sua progettazione, i segni del tempo cominciano a farsi sentire.
Il monumento venne realizzato nel 1951 per raccogliere gli involucri con la terra di ottocento cimiteri di guerra in Italia (a cui si aggiunsero le zolle provenienti da altre parti del mondo e le ampolle con l’acqua dei luoghi in cui furono affondate le navi di ogni nazione). Dal Colle di Medea domina l’intera pianura isontina. Si staglia bianco sul paesaggio circostante per ricordare a tutti che “l’odio produce morte, l’amore genera vita”. In sintonia con il suo significato, il monumento disegnato dall’architetto milanese Mario Baciocchi è immerso nella quiete della natura. Il silenzio è rotto soltanto e dal cinguettio degli uccelli nascosti tra i rami e dal rumore del vento che fa tintinnare i cavi d’acciaio sui pali dell’alzabandiera come in un porto di mare le drizze sugli alberi delle barche a vela. A rompersi, però, un po’ alla volta è lo stesso monumento.
Nella parte centrale dell’Ara Pacis, sull’angolo a nord-ovest, l’amministrazione comunale ha sistemato tre transenne per evitare che qualche turista malcapitato possa ferirsi a causa di un frammento di pietra. Dalla parete o dal cornicione se ne sono già staccati diversi. Non sono grandi, ma potrebbero comunque provocare qualche lesione grave. Più che in alto, l’attenzione deve però essere rivolta verso il basso. Qua e là la pavimentazione è rotta, quando non addirittura sollevata, come nel cordolo sud ai piedi dell’ara. Se non si sta attenti il rischio d’inciampare è reale.
Nella parte posteriore del monumento, quella che si affaccia sulla pianura, le fessure corrono parallele al muro di contenimento. Qui una volta c’era anche un binocolo per osservare il panorama di cui oggi rimane soltanto il sostegno metallico. Ad occhio nudo, nelle giornate di bel tempo si può intravedere la costiera triestina. Perché rimetterlo, dunque? Senza si ha un problema in meno da risolvere. Dove all’interno dell’altare non batte il sole, i lastroni di pietra sono macchiati dall’umidità. Nell’angolo sud-ovest si è anche formata una leggera depressione dove ad ogni pioggia si forma una piccola pozzanghera. L’acqua invece non sgorga da dove dovrebbe sgorgare.
Vicino alla “Corte della Pace” dedicata ai premi Nobel e realizzata nel 2008 per volere dall’amministrazione comunale su progetto dell’architetto Romano Schnabl si trova una fontanella per dissetarsi. Peccato sia priva di rubinetto. Con un filo d’ironia c’è stato chi l’ha definita un “monumento all’aridità umana”. Non tutto è negativo. Si trova in buone condizioni, infatti, il sentiero in pietra che dalla “Corte della Pace” conduce alla cripta sotterranea dove sulla porta sprangata si legge “Ara Pacis Mundi 2009”. Tutto intorno a vigilare sull’altare ci sono gli occhi discreti della videosorveglianza. Qualche scalino è sbrecciato, come sbrecciati sono anche alcuni angoli del monumento, spaccati da chissà quale forza misteriosa. Qua e là in mezzo al cemento riesce a germogliare e a crescere anche qualche piantina. È un po’ di verde nel bianco e viene da credere che là, dove “l’amore genera la vita”, anche la trascuratezza fa il suo corso e si impegna ad annullare l’odio e la morte.
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