Italcementi, accordo per la Cigs: l’azienda integra con 550 euro

Il ministero ratifica l’intesa: tre mesi di franchigia, poi compensazione economica a tutti fino al 2015 e mille euro all’anno per spese sanitarie e scolastiche dei figli. I sindacati ricevuti dal Comune di Trieste
Di Gabriella Ziani

Un po’ di luce nel buio, almeno dal punto di vista economico. I 70 dipendenti su 79 totali della Italcementi messi in cassa integrazione per due anni a partire dal 1.o febbraio avranno una integrazione mensile di stipendio (fino a un massimo di 550 euro). E un sostegno per le spese sanitarie e scolastiche dei figli fino a un massimo di 1000 euro all’anno. A certe condizioni, però, che sono state concordate tra azienda e sindacati e ratificate dal ministero del Lavoro, dopo una trattativa che si è chiusa con l’approvazione di procedure innovative in questo sacrificante momento per i redditi, e in assoluto per il lavoro e le sue garanzie. La Italcementi ha 2500 addetti in tutta Italia, di cui oltre 1000 a Bergamo, la Cigs è stata chiesta per 669, ma a Trieste di fatto vuota la fabbrica di via Caboto fino al 31 gennaio 2015, con prospettive già annunciate di ridimensionamento: alla fine dei due anni, se non cambiano le condizioni di mercato che potrebbero, è stato detto a Roma, consentire di ripristinare anche il ciclo produttivo, qui resteranno solo l’attività commerciale e di macinazione e cesserà la cottura del cemento: circa 35 esuberi.

«L’accordo - dice Marco Savi, Rsu per la Cisl - è stato modificato dopo la deludente riunione di metà dicembre ed è stato chiuso alla fine del mese. L’azienda aveva subordinato l’integrazione di salario riservandola a chi aveva già fatto 3 mesi consecutivi di cassa integrazione, Trieste sarebbe stata tagliata fuori. Il compromesso raggiunto dice che ci saranno invece 3 mesi di franchigia per tutti, e poi da maggio per tutti la compensazione del salario». Fino a raggiungere la cifra dello stipendio di ciascuno, e comunque un versamento che non potrà superare il tetto dei 550 euro.

In questi 2 anni di non lavoro teoricamente gli operai del cemento, tutti tra i 40 e i 50 anni, potrebbero trovarsi un altro posto. Se ci fosse.

«Sembra però che la Italcementi - prosegue Savi - sia disposta anche a dare degli incentivi a chi vuole uscire, e magari aprire un’azienda propria. Ne sapremo di più lunedì prossimo quando verrà a Trieste il responsabile delle Risorse umane del gruppo. Noi temiamo sempre che fra due anni si presenti il rischio di una chiusura totale della fabbrica, ma in sede di trattativa è stato precisato che l’azienda ha interesse a mantenere i suoi presidi strategici sul mercato». Dunque quanto meno il futuro non è stato già scritto, come per altre aziende triestine. In predicato, quanto all’attività dal 2015 in poi ci sono oltre a quella di Trieste le fabbriche di Monselice (Padova) e di Broni (Pavia).

Intanto oggi a mezzogiorno i sindacati sono stati convocati in Comune. L’incontro era stato chiesto dalle segreterie provinciali dei sindacati.

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