Javier Cercas: “Attenti a chi dice di avere la verità”

Dice che la «verità esiste eccome, ma quelli che credono di averla sono pazzi o gente pericolosa». Guarda al «passato come a una forma del presente», ed è convinto che «pensare al presente senza considerare il passato è un errore che può portare alle dittature». Confessa di essere «un convinto europeista», ma aggiunge che «l’Europa ha osservato con grande inquietudine i risultati delle elezioni italiane, perché è stato incredibile vedere Berlusconi al 25% nonostante tutto quello che ha combinato». È sicuro che «in Spagna il vero pericolo è la partitocrazia, l’invasione nella società dei partiti», anche se «è troppo facile cercare un responsabile della crisi esterno, così come ha fatto la Catalogna indicando nella Spagna il colpevole dei suoi mali; e gli italiani devono sapere che non è additando Angela Merkel come responsabile della crisi internazionale che ne usciranno, in quanto ci sono grosse responsabilità locali». In quanto a Grillo, ricorre a una metafora per ricordare come spesso «l’uomo malato si rivolge ad uno sciamano, ma i risultati non sono per nulla garantiti; in Spagna non si capisce bene cosa sia il “grillismo”, ma posso dire che negli anni Trenta in Germania la soluzione alla sconfitta della Prima Guerra mondiale non fu Hitler...anche se, certo, non voglio mica paragonare Hitler a Grillo».
Classe 1962, nato a Ibahernando, in Spagna, un piccolo comune di poche centinaia di anime nella comunità autonoma dell’Etsremadura, terra di leggende e impietosa natura, Javier Cercas è uno dei maggiori scrittori contemporanei, uno dei pochi autori in grado di esplorare le molteplici forme del romanzo con sorprendente facilità.
Dal romanzo-saggio che l’ha reso famoso, quel “Soldati di Salamina” sulla guerra civile spagnola che sta ancora facendo il giro del mondo, al saggio “Anatomia di un istante” sul tentato golpe del febbraio 1981, fino alle . fiction “La donna del ritratto” e “La velocità della luce”, tutti pubblicati da Guanda come il nuovo “Le leggi della frontiera” - nelle librerie italiane da aprile - Cercas cavalca le forme mutanti del romanzo contemporaneo saltando allegramente le scatole ormai vuote del post-moderno, battendo i territori inesausti del realismo e pescando senza la minima esitazione nel grande mare della tradizione, da Cervantes in giù. Il risultato sono romanzi e racconti non-fiction di straordinaria potenza, in grado di dare una visione a più dimensioni della realtà contemporanea, senza mai perdere di vista la prospettiva storica del nostro vivere in questo mondo.
Ieri pomeriggio Javier Cercas ha incontrato il pubblico al Teatro comunale “Verdi” di Pordenone, dando così il via a “Dedica 2013”, la manifestazione che ogni anno dedica, appunto, ben due settimane di incontri, spettacoli, mostre a un grande scrittore del nostro tempo. Quest’anno - e fino a sabato 23 marzo - tocca quindi a Javier Cercas - che ieri nel suo italiano praticamente perfetto («l’ho imparato leggendo libri») ha iniziato il tour accompagnato dallo scrittore Bruno Arpaia, suo amico e mentore in questa lunga galoppata pordenonese. Filo conduttore, “La scrittura come ricerca di verità”, ovvero le tematiche care allo scrittore spagnolo: i rapporti tra storia e invenzione, tra passato e presente, tra etica e politica.
Dunque la verità esiste, ma chi dice di averla è un pazzo.
«Certo. E anche pericoloso. Sono un tipo all’antica, mi piace distinguere tra verità storica e letteraria. La verità storica è fattuale, concreta, circoscritta, mentre la verità letteraria è morale, astratta, e riguarda tutti. Ed è una verità cui si arriva attraverso una finzione, una menzogna. Del resto non scopro nulla di nuovo: già il filosofo Gorgia - e siamo nel IV secolo a. C. - diceva che la poesia, e cioè la letteratura, è un inganno dove chi inganna è più onesto di chi non inganna, e chi si lascia ingannare e più saggio di chi non si lascia ingannare».
Un paradosso. È questo che lei definisce il “punto cieco” di ogni romanzo?
«Mi piacerebbe scrivere un saggio che affronti la questione di ciò che chiamo “il punto cieco”. E cioè il cuore di ogni romanzo: quella domanda sottesa al racconto che non trova mai risposta, ma muove tutta la narrazione. Chi è davvero Moby Dick, la balena bianca? Perché Josef K. viene processato? E, nel mio “Anatomia di un istante”, perché Adolfo Suàrez non si buttò a terra quando i golpisti cominciarono a sparare?»
Però “Anatomia di un istante” è un saggio.
«Sì, certo, non c’è nulla di inventato, ma tutta la storia si muove attorno a un punto cieco, una domanda senza risposta, e per questo lo considero un romanzo. È l’oscurità la forma attraverso la quale un romanzo ci illumina».
Qualcuno ogni tanto dice che il romanzo è morto.
«Mai stato così vivo. Il romanzo è un genere infinitamente malleabile, onnivoro e mutante, che può assimilare tutto. Lo diceva già Cervantes: è il genere della libertà assoluta».
E le forme ibride come il romanzo-saggio?
«Nelle equazioni letterarie una finzione sommata a una non finzione è sempre una finzione».
Torniamo a “Soldati di Salamina” che, come è stato detto, ha affrontato il grande nodo irrisolto di una generazione, e cioè la guerra civile. E si è parlato di riconciliazione, di memoria condivisa, conti aperti anche in Italia.
«Tutti i Paesi hanno conti aperti con la Storia. Pensi ai francesi: hanno fatto tutti la Resistenza, erano tutti con de Gaulle. E gli Stati Uniti? Chi ha massacarto interi popoli di nativi? Ogni nazione ha i suoi scheletri nell’armadio e a me non interessava affatto riconciliare nessuno. E non mi interessava nemmeno recuperare il passato storico, condividere memoria. Volevo solo sapere perché un uomo risparmiò un altro uomo quando avrebbe potuto ucciderlo. E, naturalmente e per fortuna, non ho trovato una risposta».
La letteratura è politica?
«La letteratura è sempre politica, che è il contrario dell’ideologia. E dirò di più: il collettivo è una dimensione dell’individuale. La mia ossessione diventa l’ossessione di tutti. È questa la misura politica dei romanzi».
Riprendendo il tema di uno dei prossimi incontri: chi sono gli eroi dei nostri tempi? Esistono ancora gli eroi?
«Nei miei romanzi gli eroi sono persone sotto scacco, persone che se dicono “sì” sembrano salvarsi e invece si perdono, e persone che se dicono “no” sembrano perdersi e invece si salvano. Le viene in mente qualcuno?».
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